Rudi Thiessen: GGF e Pasolini, vite da dissidenti

12 Marzo 2014

I
La dichiarazione di Potere Operaio del dicembre 1969, secondo cui "Solo chi si dedica praticamente all'organizzazione della lotta, e subordina al momento organizzativo ogni altro momento, segue realmente la via della rivoluzione", aveva profondamente irritato, disturbato e ferito Pier Paolo Pasolini. Quale, per contro, sarebbe potuta essere la reazione di Giangiacomo Feltrinelli non è più possibile stabilirlo, ma si può supporre che avrebbe condiviso tale dichiarazione senza riserve. Pasolini e Feltrinelli sono i più significativi eretici italiani del secondo dopoguerra. Le loro azioni sono state le più gravide di conseguenze, ed è per questo che il paragone tra il loro impegno e la loro dissidenza fornisce il filo conduttore che permette forse di rendere giustizia all'illusione e alla chiaroveggenza dei radicali italiani del loro tempo. La "discriminazione" operata da "questi giovani" indigna Pasolini perché secondo la loro logica lui non sarebbe mai stato un rivoluzionario. Tuttavia egli avverte anche come sull'atteggiamento di chi "si impone l'azione come ascesi" stia "soffiando un vento fortemente mistico". Se questo movimento ne divenisse consapevole, si schiuderebbe la possibilità di una nuova comunità della vera fede, cosa che avrebbe ovviamente entusiasmato Pasolini.

II
Ma ciò che salta all'occhio di primo acchito è il tono perentorio e autoritario della dichiarazione, che è al tempo stesso linguaggio dell'esclusione, linguaggio del potere. Il gesto autoritario di coloro che non dispongono di alcun potere sociale è qualcosa che fa riflettere.
Forse può aiutare un paragone. Anche in Germania "l'estate dell'anarchia" e dei giochi antiautoritari era durata poco. Il 1968 già ne segnava il declino, facendoli sopravvivere ancora per qualche tempo ai margini estremi del movimento ormai di chiara impronta leninista. I compagni conducevano lotte di potere come se fossero al potere, si vestivano come i combattenti di epoche eroiche e nelle loro manifestazioni mettevano in scena una sorta di mascherata della rivoluzione proletaria. La Rote Armee Fraktion si concepì come loro braccio armato, finendo per trasformare il gioco folle in un gioco mortale. Il linguaggio dei loro comunicati era quello dei loro avversari: conciso, come vuole lo stile militare, retorico, burocratico. In breve tempo il risultato fu una totale perdita di contatto con la realtà.
Nella Germania occidentale questo sviluppo poteva anche essere spiegato con l'assenza totale di una tradizione di sinistra altra da quella del Partito socialdemocratico. Nella giovane repubblica la sinistra era rappresentata da Günter Grass, Heinrich Böll, Martin Walser. I radicali non soltanto estremizzarono la critica fatta da quest'ultimi al sistema, ma giunsero a rifiutare anche ogni allineamento con il socialismo reale dei Paesi dell'Est. Ciò conferì al movimento il suo iniziale tratto innovativo, ma a quanto pare nessuno era in grado di gestire tanta autonomia, motivo per cui non solo i suoi aderenti crearono un fittizio legame con la Cina di Mao, ma si assoggettarono anche allo stalinismo delle loro proprie teste. È comunque curioso che i radicali francesi, italiani e persino quelli statunitensi abbiano sviluppato una sintomatologia analoga. Considerazione, questa, che esige qualche approfondimento comparativo in più.

III
Storie significative da questo punto di vista le raccontano gli editori e i redattori della "PartisanReview", l'organo cosmopolita dell'intellighenzia americana - che tra gli altri pubblicava Malraux, Silone e Koestler - durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Eppure Saul Bellow non parla solo dell'onore e del piacere di scrivere per questa rivista, ma riferisce anche della cappa ideologica che pesava su tutti quanti e della difficoltà di liberarsene. La politica del Comintern e i processi di Mosca avevano sì indotto alcuni a prendere le distanze da Stalin, nondimeno ci si atteneva sempre a un marxismo ortodosso, anche se ora di stampo trotzkista. Due dottrine fondamentali definivano l'atteggiamento di "PartisanReview" nei confronti della Seconda guerra mondiale. Innanzitutto si trattava di una guerra imperialista, e dunque, memori della Prima guerra mondiale, non ci si doveva più far sedurre dalla propaganda interventista - un atteggiamento, questo, che non cambiò neppure con l'attacco all'Unione Sovietica. In secondo luogo ci si atteneva alla dottrina di Trotzki per cui uno stato operaio, per quanto degenerato fosse, non avrebbe mai potuto condurre una guerra imperialista. Un assunto che non venne messo in discussione nemmeno dopo l'annessione per mano di Stalin dell'Europa dell'Est. Per intellettuali come Dwight Macdonald, Clem Greenberg e Isaac Rosenfeld gli eventi storici non influivano sulla visione teorica del mondo.

IV
Per i radicali francesi il punto chiave era la controversia tra Albert Camus e Jean-Paul Sartre. Camus era già stato escluso dal Partito comunista nel 1937. Nel '43 si unì alla Resistenza e pubblicò il giornale clandestino "Combat"; nel '51 uscì il suo L'uomo in rivolta; nel '53 criticò la repressione del 17 giugno a Berlino Est, nel '56 quella dell'insurrezione ungherese e, per finire, assunse una posizione del tutto autonoma riguardo alla guerra d'Algeria. Sartre non fu mai nel Partito, il suo ruolo nella Resistenza non è chiaro, gli anni '53 e '56 lo vedono titubante ma sostanzialmente alleato con i comunisti, salvo spingersi, alla fine degli anni Cinquanta, molto più in là di loro nella solidarietà con la lotta di liberazione algerina. La sua critica a Camus si può sintetizzare nell'accusa di individualismo e moralismo; da parte sua Sartre è convinto che la sua ragione dialettica lo porti dalla parte delle tendenze oggettive degli eventi mondiali. Ne consegue che gli USA diventano il peggior nemico, e che i movimenti anticolonialisti hanno sempre e incondizionatamente ragione. Una semplificazione, una volta tanto, insolitamente precisa. Camus era un moralista, e per questo era convinto che il conseguimento di un obiettivo giusto non potesse richiedere mezzi scorretti. La posizione di Sartre raggiunge il suo vertice isterico nella prefazione ai Dannati della terra di Fanon: gli Stati Uniti diventano un "aborto dell'Europa" e la violenza perpetrata dai rivoluzionari algerini viene celebrata senza mezzi termini. Dal canto suo, Camus avvertiva nel '58 che non v'era mai stata una nazione algerina, che "gli ebrei, i turchi, i greci, gli italiani, i berberi" e ovviamente i francesi "avevano il medesimo diritto a rivendicare la guida di questa nazione virtuale". Voler identificare, tout court, gli algerini con gli arabi significava fare dell'Islam l'unico collante della nuova nazione. A tutt'oggi sorprende quanto a lungo gli intellettuali di sinistra si siano identificati con il supposto radicalismo di Sartre.

V
I comunisti italiani non salutarono l'intervento sovietico in Ungheria con lo stesso entusiasmo dei compagni francesi, nondimeno l'organo quotidiano del Partito non lesinò parole di scherno nei confronti degli insorti come pure degli intellettuali che, al pari di Italo Calvino, avevano abbandonato il Partito per protesta. Gli intellettuali comunisti italiani non erano però tanto facili da mettere in riga. C'era fermento in vari gruppi locali e in particolare a Milano, dove Giangiacomo Feltrinelli con i suoi collaboratori della Biblioteca e dell'Istituto, Aldrovandi di Einaudi, Venturi dell'"Unità" e Rossana Rossanda intendevano pubblicare una dichiarazione di protesta sull'"Unità". Il Partito lo impedì, i contestatori dal canto loro, volendo evitare un conflitto aperto, rinunciarono a pubblicare altrove. Solo Feltrinelli non si arrese e scrisse una lettera a Giorgio Amendola spiegando perché tanto la politica dell'Unione Sovietica quanto quella del PCI fossero sbagliate e comportassero conseguenze inquietanti. Amendola rispose che aveva già visto molti lasciare il Partito - tra gli altri anche Silone e Vittorini - ma nessuno di questi era riuscito a servire la rivoluzione fuori dal Partito. Dunque, concludeva Amendola, era utile che Feltrinelli vi restasse svolgendo i suoi compiti secondo le direttive. Feltrinelli, probabilmente a denti stretti, rimase.
Come si sa, il Dottor Zivago cambiò le cose. Se nella questione ungherese Feltrinelli poteva ancora giustificarsi con l'essere semplicemente un membro del Partito e non un suo dirigente, qui erano in gioco la sua integrità di persona e di editore.
Per Feltrinelli il 1958 deve essere stato un anno veramente pazzesco. Poco dopo il Dottor Zivago gli riesce infatti un secondo colpo editoriale, Il Gattopardo, e però intanto ha perso la sua collocazione sociale, l'unica collocazione possibile per un intellettuale che non volesse essere isolato e passare per borghese, quella nel partito rivoluzionario dei lavoratori. Oggi nessuno se ne darebbe pena ma non era una situazione così semplice. La sua vita di uomo adulto era iniziata con l'entusiastica adesione alla Resistenza. Successivamente aveva fondato l'Istituto di ricerca sul Movimento operaio, diretto la casa editrice del Partito comunista, infine aveva trasformato questa, con successo e anche nell'interesse del Partito, nella Giangiacomo Feltrinelli Editore. Ed ora eccolo trovarsi di fronte a un'esistenza da dissidente, molto simile, seppure per ragioni completamente diverse, a quella di Pier Paolo Pasolini che, espulso dal Partito per immoralità, non fu mai capace di definirsi altrimenti che in relazione ad esso.
In una lettera a Pasternak, Giangiacomo Feltrinelli cita Camus come il solo autore francese tra le due guerre da cui ci si potesse ancora attendere qualcosa di significativo. Nel 1959, poi, pubblica il Re della pioggia di Saul Bellow.

VI
I ribelli più importanti nella vita di Feltrinelli furono il Dottor Zivago e il Che, ma anche Camus e il Re della pioggia. Forse vale la pena di chiedersi cosa abbiano in comune, al di là del fatto che Feltrinelli li abbia ammirati o pubblicati.
Nel Re della pioggia, Henderson, ricco erede, va in Africa per lasciarsi alle spalle l'Occidente, la sua civiltà, la sua cultura e spazzatura storica, o come lui stesso dice, la sua "history or junk like that". Tuttavia, l'Africa che Bellow costruisce per il suo eroe è ben diversa dall'idea di Terzo Mondo con le sue implicazioni colonialistiche. Il Re aveva sì studiato in Inghilterra, ma quell'esperienza lo aveva spinto solo a tener lontano il suo popolo da tutta quella "history and junk like that". Ciò rende possibile l'incontro catartico del romanzo e consente a Henderson di vivere per un breve momento la sensazione di un'autentica comunità, anche se, non appena riesce a percepire il "noi", sa che lo dovrà abbandonare. E comunque tornerà alla sua civiltà con la consapevolezza di questa possibilità.
Il Che, dal canto suo, si è davvero sottoposto a quelle lunghe marce attraverso la Bolivia solo per rendere giustizia alla propria definizione tautologica: "Rivoluzionario è chi fa la rivoluzione"? Dopo la rivoluzione e nel contesto della situazione politica mondiale, Cuba cessa da un giorno all'altro di appartenere al Terzo Mondo e, grazie ai legami con l'Unione Sovietica, entra a far parte del secondo. Questo non le fa perdere solo un po' di povertà, ma anche alcune libertà e utopie. Ma il Che fu forse più toccato dall'isolamento del potere, dalla perdita della sua comunità guerrigliera della Sierra Maestra che tornò a cercare nella rivolta boliviana, affascinando Feltrinelli più di qualsiasi altra cosa Fidel Castro avesse da offrirgli. In Castro, peraltro, Feltrinelli non riesce neppure a capire dove mirasse il suo antiamericanismo; in Ernesto Che Guevara è invece chiaro: due, tre, quattro, molti Vietnam. E se nel Congo può funzionare altrettanto bene che in Bolivia, a Feltrinelli balena un pensiero: perché non in Sardegna?
Il dottor Zivago è il dissidente solitario suo malgrado. Nulla può separarlo dalla sua gente, ma ad essa non apparterrà mai. Più che dall'autore, Feltrinelli è affascinato dall'eroe: Pasternak può abbandonare, addirittura tradire, ma Zivago incarna la fedeltà incondizionata di cui Feltrinelli sogna.

VII
L'eretico diventa dissidente della propria chiesa poiché la vuole ricondurre alla vera fede.
Voglio definire l'eretico - in primo luogo chi non transige sulle proprie scelte - quale persona assolutamente credente, diversamente dall'eterodosso, che di fatto può credere oppure no. L'eterodosso può dunque essere ironico, mentre l'eretico, almeno nelle questioni di fede, non ammette l'ironia (nel cinema italiano Fellini rappresenta il tipo dell'eterodosso, Pasolini quello dell'eretico).
Sotto la pressione degli eventi Feltrinelli sembra trasformarsi da eterodosso (involontaria dissidenza dal PCI) in eretico (per la libertà e la vera comunità). Sembra che non abbia avuto simpatia per Pasolini. Come eretico della sua classe, Feltrinelli non cerca la comunità di coloro che vengono dal basso, ma di quelli che stanno in basso. Così facendo, tuttavia, finisce esattamente laddove Pasolini si identifica: in gruppi e zone marginali, uomini e regioni non ancora capitalisticamente formati.

VIII
Nei loro progetti leninisti e maoisti i radicali della Germania occidentale avevano perso ogni legame con la realtà. Non v'era alcuna minaccia fascista a giustificare le loro fantasie militanti. I radicali americani si liberarono sempre più dalla loro cappa ideologica, rinunciarono a elaborate interpretazioni marxiste e si dedicarono molto praticamente al movimento per i diritti civili. Dopo l'uccisione di Martin Luther King e la radicalizzazione degli attivisti neri, finirono ai margini, e quando la divisione tra Primo e Terzo Mondo si trasferì all'interno delle città americane, in quanto bianchi del ceto medio si ritrovarono inevitabilmente dalla parte sbagliata. In Francia, Sartre divenne il Nestore dei radicali, anche se è difficile dire chi, tra il filosofo e i radicali, desse la linea.
In Italia le cose andarono diversamente, e il fatto che Adriano Sofri sia tuttora in carcere ne è una triste dimostrazione. Qui lo spirito soffiava realmente da sinistra e, nei confronti dei presunti mandanti, lo Stato sembra essere molto più inflessibile che non verso gli assassini, siano questi mafiosi, di destra o di sinistra. I motivi sono chiari. Per anni il rischio di un golpe fascista (sul modello greco) è stato reale, e Andreotti non soffriva di manie di persecuzione quando diceva di non vedere nessuna alleanza possibile con l'intellighenzia italiana. Gli intellettuali italiani erano iscritti al PCI o ne erano stati espulsi per deviazionismo di destra o sinistra; altri erano usciti volontariamente dal Partito e sedevano alla sua sinistra, oppure diventarono indipendenti di sinistra o intellettuali in posizione critica. E quelli che non erano mai stati nel PCI pur sempre a esso si riferivano, ponendosi come socialisti liberali o simili. È realmente difficile citare un importante intellettuale, scienziato o artista che avesse come punto di riferimento positivo Andreotti (o Berlusconi). E analogo è il panorama editoriale: Einaudi, Garzanti, Bompiani e Feltrinelli si spartivano la cultura letteraria.
Questa ricchezza culturale della sinistra italiana non poggia esclusivamente sull'esperienza della Resistenza e sulla paura del golpe fascista, ma si basa anche sull'enorme varietà delle culture regionali. Città, paesaggi, colori, aromi, differenze linguistiche fanno di ogni autore, al di là delle altre qualità letterarie, un rappresentante della propria cultura regionale. Calvino scrisse che, a seguito della rivoluzione borghese e del forte centralismo, in Francia le differenze regionali avrebbero rischiato di sparire del tutto se non si fossero profondamente radicate in piccolissime isole, mentre in Italia la varietà regionale era sopravvissuta a lungo indisturbata per estinguersi, improvvisamente e in apparenza senza lasciare tracce, verso la fine del XX secolo. Anni prima Pasolini aveva osservato questo stesso processo e lo aveva reso con una stupenda metafora: la scomparsa delle lucciole.
Verso la fine degli anni Sessanta Pasolini aveva capito che il capitalismo stava iniziando a dispiegare nuovamente quell'energia distruttiva e rivoluzionaria che Marx aveva descritto nel suo Manifesto comunista. Calvino, allora, lo aveva schernito rimproverandolo di rimpiangere la "buona Italia di un tempo". Ma Calvino non aveva capito che il capitalismo si stava preparando di nuovo a cambiare tutto. E a ciò si può contrapporre solo una posizione al contempo radicaldemocratica e conservativa. Che la si voglia chiamare ancora comunista non ha importanza, ma essa costituisce comunque il nocciolo dell'attuale critica della globalizzazione.
Nei luoghi e nelle situazioni in cui Pasolini piange la scomparsa delle lucciole, Feltrinelli sogna focolai della rivoluzione e probabilmente cerca (trova?) nei Gruppi di azione partigiana quella comunità di cui tanto spesso si parlava e che lo può liberare dalla sua solitudine.
Pier Paolo Pasolini e Giangiacomo Feltrinelli muoiono di morte violenta. Il vizio di romanzare l'esistenza ci fa raccontare la vita di un uomo a partire dalla sua fine: così un uomo che muore a 21 anni è, in ogni momento della sua vita, un uomo che muore a 21 anni.
Nulla è più falso. E solo i cattivi romanzi finiscono così.

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Senior Service di Carlo Feltrinelli

Giangiacomo Feltrinelli, editore con "la testa tra le nuvole e i piedi per terra". L'infanzia, il legname di famiglia, il dopoguerra, la militanza nel Pci, lo spirito del "fare le cose", "un mausoleo bavarese", le "carte della Rivoluzione", un viaggio …