Erri De Luca: Un viaggio alle radici dell’odio

08 Aprile 2002
Cominciò con una forma del verbo ebraico «badàl», separare, dividere in due porzioni. La scrittura sacra lo usa per la separazione tra giorno e notte, tra luce e tenebra durante le prime battute della creazione. Con questa forza di distacco torna il verbo «badàl» riferito al popolo di Israele: «E io darò a voi da ereditare una terra che ha mestruo di latte e miele, io sono Iod (tetragramma) vostro Elohìm che ho fatto separazione di voi dai popoli» (Levitico/Vaikrà 20,24). Il verbo che descrive la terra promessa è quello delle mestruazioni femminili: quella terra avrà la stessa fertilità della donna ebrea. L’accostamento pronunciato da Dio/Iod afferra per il bavero della commozione la folla appena estratta dall’Egitto. In quattrocento anni sono passati da settanta individui a seicentomila, la fertilità delle donne è leggendaria al punto di spaventare Faraone, fino a fargli uccidere i neonati maschi ebrei nelle acque del Nilo. Ecco che la nuova terra avrà lo stesso flusso mensile femminile. Le traduzioni che non tengono conto di questa identità fisica tra donna e suolo perdono gran parte dell’urto emotivo della promessa. Ma il punto sta nella forma del verbo «badàl» che stacca Israele dagli altri popoli. Qui non c’è ancora alcuna elezione, ma il grandioso atto d’inizio di un esperimento sacro: trasformare un popolo di servi in un popolo di santi. In quello stesso punto del libro Levitico/Vaikrà si legge: «E sarete santi perché sono santo» (20,26). La più impossibile delle imitazioni, pareggiare la santità di Dio, diventa per legge il loro programma di vita quotidiana. Questo popolo, staccato da tutti gli altri nella fitta solitudine del deserto, accetta di portare il peso della più esigente pretesa di Dio. Quando si parla con fastidio di popolo eletto, bisogna fare i conti con questo verbo ebraico della separazione, più duro da portare e meno lusinghiero di quello che di solito si attribuisce al destino di eletti. Solo la lingua ebraica antica ha diritto di essere stata la preferita, perché attraverso di essa si fissa a caldo la prima stesura della rivelazione, il formato originale dell’Antico Testamento. Quella lingua, lei sì, è l’eletta. La nuova terra, con tutto il mestruo di latte e miele, non è né sarà mai un giardino come fu l’Egitto, dove bastava scavare con la pianta del piede un canale per far uscire acqua. No, la terra nuova: «La pioggia di Cieli berrà acque» (Deuteronomio/Devarìm, II,II). Essa dipenderà dagli acquedotti del firmamento, dal vento che ramazza nuvole come un pastore e poi le porta a mungere sopra alture e valli d’Israele. Dio sarà il suo fornitore, come già di manna nel deserto. Quel suolo mai sarà facile e mai sarà assegnato una volte per tutte. Il luogo in cui convergeranno tre monoteismi è il plesso solare della nostra civiltà, contiene attorcigliati i nervi di tre fedi che si escludono a vicenda eppure devono convivere e coincidere nello stesso punto di sutura. Giovanni Boccaccio e dopo di lui Gotthold Ephraim Lessing riportano il racconto dei tre anelli. Un padre possedeva un gioiello prezioso che veniva lasciato di generazione in generazione al figlio maggiore. Questo padre aveva però tre figli tutti ugualmente amati. Fece in segreto due copie perfettamente riuscite e alla sua morte ogni figlio credette di essere il prescelto. Nessuno dei tre seppe mai quale anello era il vero. Così è per i tre monoteismi. La terra santa s’insanguina da migliaia di anni per zelo di primato tra di loro, per il riconoscimento di un anello. Gli ebrei s’installarono a forza nel nuovo campo già ben affollato. Alla fine del capitolo dodici del libro di Giosuè si contano trentuno re combattuti e vinti dopo il passaggio del Giordano. La nuova terra era stata promessa ma niente affatto regalata. E per tenersela dovettero combattere molto, come si legge nel libro dei Giudici dove spicca la solenne figura di Sansone, primo martire suicida della storia sacra che s’immola a Gaza facendo crollare l’edificio gremito di Filistei. E poi guerre su guerre toccano Saul e Davide, primi re di Israele, guerre poi ai successori. Fino all’arrivo del più catastrofico dei grandi invasori, l’esercito di Roma. Ponzio Pilato, celebre perché coinvolto nelle vicende dell’ebreo Gesù, fu tra i peggiori despoti che esercitarono il governo per conto di Roma. Filone di Alessandria lo accusa di concussioni e crudeltà insensate. Lo storico Giuseppe Flavio parla di sue provocazioni per aizzare rivolte da soffocare poi con ferocia. Sta di fatto che Tiberio, allora imperatore, sconfessò Pilato e gli impose di ritirare un decreto. Infine una repressione ordinata ingiustamente contro i Samaritani gli procurò la sospensione dall’incarico e un richiamo a Roma per rispondere del suo operato. Pilato come capo delle forze di occupazione aveva lo «ius gladii», il diritto di vita e di morte sui sudditi ebrei. Gesù sale sul patibolo romano della trave a T, accompagnato dall’iscrizione sarcastica in latino: Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum». Inri per gli amici. Le rivolte contro i romani furono innumerevoli, ecco solo un episodio minore: intorno all’anno 66 Vespasiano assediava la fortezza di Iocapata in Galilea. Allora il comandante degli insorti ordinò ai suoi di inzuppare le loro vesti nell’ultima acqua e appenderle ai muri esterni fino a farli grondare. I romani videro l’ostentazione dello spreco, rinunciarono alla strategia della sete e si decisero alla battaglia. Era quello che volevano gli ebrei che disperando di potersi salvare preferivano morire in battaglia. Nel 70 Tito prese Gerusalemme insorta e la spianò come un campo. L’ultima rivolta nel 132 e fu causata dalla costruzione di un tempio a Giove nell’area che apparteneva al Santuario, oppure al divieto di circoncisione imposta da Domiziano e poi da Adriano. Gerusalemme fu chiamata Aelia Capitolina e la Giudea fu chiamata Palestina. La terra promessa sparì da sotto i piedi e gli ebrei si dispersero e si moltiplicarono ovunque. La Spagna cristiana dei Visigoti impose e sospese molte volte l’ordine agli ebrei di convertirsi. Fu per loro un sollievo la conquista mussulmana della Spagna dopo la battaglia del 711. Sotto i califfi omayyadi gli ebrei prosperarono, come sotto Carlo Magno e suo figlio Lodovico. Il più grande commentatore del Talmud, Rashi (1040-1105), fondò a Troyes nello Champagne la prima scuola moderna di esegesi biblica. Il 27 novembre 1095 al concilio di Clermont Ferrand papa Urbano secondo lanciò l’idea di riconquista dei luoghi sacri. È l’atto d’inizio delle Crociate. Le schiere traversarono a ondate la Francia e la Germania e per gli ebrei l’alternativa fu tra battesimo e morte. A Colonia si suicidarono in massa, presso Magonza più di mille di ogni età furono passati dalla spada, due esempi a delegazione di mille altri. Tra il 1100 e il 1200 si stabilì la dottrina cristiana della carne e del sangue di Gesù presenti nell’ostia e nel vino (transustanziazione) e si aggiunse all’odio anche l’accusa di profanare l’ostia. Luigi settimo di Francia fece arrestare tutti gli ebrei per poi liberarli dietro pagamento di riscatto. Se lo fa un bandito si chiama rapimento, se lo fa un re con un esercito si chiama politica. Nel 1215 un concilio lateranense impose a tutti gli ebrei da1 12 anni in su l’obbligo di portare addosso un segno distintivo. Nel 1290 sono espulsi dall’Inghilterra, nel 1306 dalla Francia. Nel 1347 la peste nera svuota in pochi anni l’Europa, rendendoci alla fine tutti consanguinei perché figli dei pochi scampati. Gli ebrei già accusati di omicidi rituali, sacrifici di bambini e avvelenamenti sono perseguitati sotto l’accusa di contagio. Dal centro d’Europa si allontanano verso est in cerca di nuovi insediamenti, accolti in Polonia. Si portano dietro una lingua, lo yiddish, con cui tenersi uniti nello spargimento. La diffonderanno tra la Vistola e il Volga. Nel 1400 la Spagna cristiana si preparava all’espulsione di tutti gli ebrei procurandosi il più volontario dei dissanguamenti di risorse umane, mentre Maometto secondo conquistava Costantinopoli. In Turchia per gli ebrei, novità assoluta, diventava possibile la libertà di circolazione e di commercio. Nella Spagna di Isabella neanche i convertiti se la passavano bene. Uno di loro Antonio Montero scrisse in versi: «Ho detto il ”Credo” / ho adorato marmitte di grasso lardo / ho ascoltato messe e ho pregato / e tuttavia non ho potuto cancellare / quest’aria da ”confeso”. / Ho pregato devotamente / ho sgranato il rosario / pensando di togliere la mia colpa / ma sono riuscito a perdere / la fama di vecchio, vile ebreo». Quando Torquemada diventa capo dell’Inquisizione spagnola già in migliaia erano finiti bruciati con l’accusa di pratiche giudaizzanti. Francisco Peña che completò il Manuale degli Inquisitori annotò: «Se un innocente viene ingiustamente condannato non deve lamentarsi della sentenza della Chiesa che si basa su una prova sufficiente e non può giudicare quello che è segreto. Se dei falsi testimoni lo hanno fatto condannare egli deve accettare la sentenza con rassegnazione e rallegrarsi di morire per la verità». E con eccesso di franchezza aggiungeva: «La tortura serve a rimediare alla mancanza di prove». L’editto di espulsione degli ebrei dalla Spagna è del 1492, anno da noi meglio conosciuto per la fortunata regata transoceanica di Cristoforo Colombo. L’editto restò in vigore fino al 1858. Il primo ghetto s’inaugura a Venezia nel 1516, quello di Roma è del 1555 ad opera di papa Paolo quarto, Carafa, già responsabile è dell’Inquisizione romana, con la bolla: «Cum nimis absurdum» (Poiché è troppo assurdo). Napoli, mia città di origine non ha mai avuto un ghetto. Negli anni Cinquanta del millenovecento aveva la più alta densità abitativa d’Europa, era già un ghetto per napoletani. Lutero poco prima di morire nel 1546 pronunciò il suo discorso più violento nel quale si rendeva urgente l’espulsione degli ebrei da tutte le città tedesche. Tra il 1648 e i dieci anni seguenti il cosacco Bogdan Chmel’nickij procurò la distribuzione di trecento comunità ebraiche, con una stima di duecentocinquantamila vittime. All’inizio del 1700 il governo austriaco per limitare la loro natalità dispose che potesse sposarsi solo il primogenito ebreo; sempre meglio del controllo delle nascite adottato da Faraone. In Spagna continuava la caccia all’ebreo anche in assenza dell’ostaggio: e Madrid tra il 1721 e il 1727 si eseguirono 820 arresti e si bruciarono vivi 75 accusati di pratiche giudaiche. Il 27 settembre 1791 la rivoluzione francese produsse il decreto di emancipazione degli ebrei. Non era ancora l’uguaglianza ma l’ingresso nell’era moderna. Nell’Europa dell’est la novità si chiama pogrom e inizia nel 1881. L’espulsione degli ebrei da Mosca è del 1891, il massacro di Kichinew del 1903. Tra il 1881 e il 1914 più di due milioni e mezzo di ebrei fuggono dall’est dell’Europa, una buona idea. Nel 1937 erano sedici milioni nel mondo, circa undici in Europa. Quello che è successo dopo è noto ai lettori tedeschi e appartiene alla loro storia. Il primo pogrom del dopoguerra è in Polonia, a Kielce il quattro luglio del 1946. L’assemblea generale delle Nazioni Unite dichiara nel 1947 la divisione della Palestina e assegna un territorio agli ebrei. L’avvenimento è prontamente accolto da una guerra, la prima del nuovo stato che prende il nome di Israele, nome di colui che combattè con l’angelo al guado del fiume Yabbòk e vinse (Genesi/Bereshìt 32,29).

Erri De Luca

Erri De Luca è nato a Napoli nel 1950. Ha pubblicato con Feltrinelli: Non ora, non qui (1989), Una nuvola come tappeto (1991), Aceto, arcobaleno (1992), In alto a sinistra (1994), Alzaia (1997, …