Umberto Galimberti: Pirellone. L´imprevedibile che angoscia l´Occidente

20 Aprile 2002
Abbiamo capito che quel giorno l´azione terroristica non ha distrutto solo le due torri di Manhattan e la vita di tremila persone, ma ha distrutto quella condizione base della vita quotidiana che è la prevedibilità del domani, senza la quale non prende avvio nessuna iniziativa, e le azioni che abitualmente ci impegnano ricadono su se stesse, perché hanno perso importanza, spessore, investimento, valore. Anche se a Milano l´azione terroristica è apparsa quasi subito improbabile e nel giro di poco tempo smentita, nonostante le incaute dichiarazioni del presidente del Senato Marcello Pera, in tutti noi è subentrata sottile e pervasiva, come condizione dell´anima, quell´angoscia primitiva, per difendersi dalla quale l´uomo occidentale ha inventato la sua storia. Quest´angoscia si chiama: angoscia dell´imprevedibile, di fronte al quale non posso scappare, per cui il meccanismo che si attiva non è quello «difensivo» della paura, ma quello «paralizzante» dell´angoscia che svela la vulnerabilità della nostra tecnologia, arresta lo sviluppo della nostra economia, intimorisce il mondo della vita che si fa più prudente, più cauto, più riparato, meno espansivo, più contratto. Come l´11 settembre, anche se l´episodio di Milano non ha alcuna parentela con l´evento di Manhattan, di nuovo abbiamo assaporato quanto precari sono i pilastri della nostra fiducia nel domani, se è vero che la nostra tecnologia, espansa fino alla zona più remota della terra, è un apparato potentissimo ma anche fragilissimo, e la nostra economia, espansa anch´essa fino alla zona più remota della terra, può crollare non per ragioni economiche, ma per quel sentimento primitivo che è l´angoscia dell´imprevedibile. Tutto può accadere senza regole di previsione e di leggibilità. E questo scenario, che è tipico dell´uomo primitivo, cade su una condizione psichica, quella occidentale che ormai si era abituata a considerare il tempo solo sotto le categorie dello sviluppo e del progresso, quindi come assoluto futuro che, senza viverlo brucia il presente, e senza esitazione liquida il passato nello scenario del sor-passato. Ad aggravare lo scenario dell´imprevedibile, vera fonte dell´angoscia, è assistere al venir meno di quello schema di lettura che, dall´alba della vicenda umana, consentiva di prevedere le mosse del nemico, ipotizzando che chi vuole uccidere si muove cercando di salvare la propria vita. Questo schema, che poggiando su quella solida base che è l´istinto biologico di conservazione consentiva di prevedere le rispettive mosse, nel caso dell´azione terroristica o di quella suicidaria non vale. Qui, l´idea, il progetto, la fede, l´utopia, la follia, comunque si vogliano chiamare queste espressioni «culturali» perché «ideali» , hanno il sopravvento sulla «base biologico-istintiva» che si suppone comune a tutti gli uomini, e che di solito svolge un ruolo di ridimensionamento dell´idea, del progetto, della fede, dell´utopia, della follia. La dimensione suicidaria toglie infatti anche quest´ultimo criterio di leggibilità, quello finora considerato il più sicuro, perché ancorato alla base biologica della vita umana. E allora l´angoscia, questo sentimento primordiale, per difendersi dal quale l´umanità ha inventato l´intera sua storia, non può che espandersi e moltiplicarsi ossessivamente in uno scenario dove, non solo gli aerei, ma gli oggetti più innocui possono assumere le sembianze del pericolo, mentre i volti meno familiari quelle inquietanti del sospetto. La condizione d´assedio, che, a giudicare dalle prime reazioni delle cancellerie e delle televisioni di tutto il mondo ha attraversato come un brivido l´Occidente, più che territoriale, è psichica, e quando è imprigionata l´anima, come si fa a produrre cultura, arte, scienza, musica? E quale linguaggio hanno a disposizione, gli affetti, gli amori, le speranze, i progetti, i dolori? Ma soprattutto di quali strumenti dispone la nostra psiche per trattare la dimensione dell´imprevedibile con cui noi occidentali non abbiamo più consuetudine dall´alba della nostra storia? La forma che il tempo ha assunto a partire dall´11 settembre, qualora l´avessimo dimenticata, l´abbiamo risperimentata l´altro ieri a Milano. Essa obbliga noi occidentali a familiarizzare con l´imprevedibile e a prenderci cura di un sentimento che pensavamo d´aver da tempo liquidato. E questo è possibile solo con un lavoro dell´anima che dobbiamo richiamare dalla sua distrazione e dalla sua dissipazione in cui da tempo la lasciavamo vagare, fino al suo smarrimento nel rumore del mondo che moltiplicavamo, per non affogare in quella che fino a ieri percepivamo come sua monotonia. Non è un lavoro da poco, sappiamo però che è un lavoro urgente.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …