Michele Serra: Il cinema arriva dallo spazio

02 Maggio 2002
La vecchia pellicola, a parte il deperimento organico, da oggi comincia a morire anche tecnologicamente: a partire dal prossimo "Star Wars", i film arriveranno via satellite direttamente nelle sale cinematografiche. Niente più celluloide, né proiettore, né problemi di messa a fuoco: tutto sarà soppiantato dal digitale. Pare che costui, il digitale, abbia una definizione così perfetta che anche i pori della pelle di Michelle Pfeiffer ci parleranno d´amore. Benone, siamo qui apposta.
Ma a parte le piccole intense malinconie che ogni passaggio d´epoca porta con sé; e a parte il dubbio lessicale se i film (pellicole) potranno ancora chiamarsi film; la vera domanda è se tutto questo fulgore modernista porterà poi a una riduzione dei costi così percepibile, e diffusa, da permettere una produzione e una distribuzione un tantino più democratica del cinema.
Sono reduce, tanto per dire, dalla visione di uno dei più film più stupidi, brutti e inutili dai tempi dei fratelli Lumière, l´americano «Amore a prima svista», proiettato in decine di mega-sale italiane per la sola presumibile ragione che la grande distribuzione lo preferisce a degnissime pellicole oscurate sul nascere dalla mancanza di quattrini o di coraggio o di fantasia dei due o tre boss che decidono che cosa dobbiamo e che cosa non dobbiamo vedere noi provinciali. Poiché del Dvd, in sé, mi importa abbastanza poco (Michelle Pfeiffer era strepitosa, e altissimamente definita, anche su pellicola), la sola domanda che mi pongo, da spettatore, è se la nuova tecnologia sarà in tempi brevi disponibile per tutti, abbassando i pesantissimi costi dell´attuale duplicazione e distribuzione su pellicola, oppure se renderà le majors e la grande distribuzione ancora più potenti e prepotenti.
Pare che in questa fase pionieristica i costi della proiezione satellitare e digitale siano esorbitanti, cioè sopportabili solo dai soliti pochi. Il fatto che siano proprio questi soliti pochi ad assicurare che, a medio termine, anche le sale più scalcinate e i mercati più ansimanti potranno digitalizzarsi, e abbattere i costi, spinge a una sospettosa cautela. Ogni nuova tecnologia promette «orizzontalità» e accessibilità democraticissima, salvo poi accorgersi che le strozzature non dipendono tanto dal medium, quanto dalla cultura, dal potere e dagli obiettivi di chi lo maneggia e/o manipola. Nessuna illusione, sotto questo profilo: il mercato è orientato dal desiderio di guadagno, e questo è normale e perfino sano, ma è pesantemente influenzato anche da scelte culturali e da discriminazioni preconcette. Ci sono, a monte della produzione, persone convinte di «conoscere i gusti del pubblico», che indirizzano risorse finanziarie e artistiche lungo strade predeterminate, «generi» codificati, linguaggi considerati più sicuri di altri perché premiati al botteghino. Si fa cinema, si fa spettacolo e si fa cultura consultando preventivamente i tabulati che mettono in riga i famosi «gusti del pubblico», in qualche modo eternandoli. Potrà mai cambiare gusti un pubblico i cui gusti sono già etichettati?
Quelle che mancano, spesso, sono le controprove, confinate nei festival-ghetto. Mancavano nell´era della pellicola, continueranno a mancare anche nell´epoca del digitale, se non muta profondamente anche la tecnologia più importante e incisiva: la testa di chi produce e distribuisce cinema.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …