Paolo Rumiz: Ebrei di Francia

04 Maggio 2002
«Juif!». In Francia la parola «ebreo» ha il suono secco di una rasoiata. Quando arriva, la distingui anche nel rumore. Capita negli Champs Elisées, angolo rue Washington, tra fiumi di turisti. Tre maghrebini sui quindici anni, capelli rasi, mi affiancano, sputano per terra, ripetono «Sale juif», sporco ebreo. È bastato poco: indossare una Kippah, lo zuccotto nero, e portare una borsa di plastica col disegno del candelabro rituale, presa in una boutique del Marais. «Juif!», giù un´altra ghigliottinata. I tre mi guardano dritto negli occhi. Poi il più giovane mi torce la guancia sinistra, ride come un matto. I passanti distolgono lo sguardo. Un plotone di giapponesi non si accorge di niente. La polizia non c´è.
Non occorre andare in periferia per capire che aria tira per gli ebrei francesi nei giorni della guerra di Sharon. Bastano i Campi Elisi all´ora dello struscio.
Qui, tra i quartieri chic, la Kippah dovrebbe essere di casa. Questi viali, ride la gente, sono come il canale di Suez, solo che «qui gli ebrei stanno... su tutte e due le rive». Antisemitismo? Parola inadatta alla Francia. Questo non è solo il Paese con più ebrei d´Europa (più di 500 mila). Ha anche sei milioni di arabi, che sono semiti pure loro. E poiché da sei mesi le aggressioni degli arabi contro gli ebrei sono paurosamente aumentate - scuole a fuoco, cimiteri violati - s´è dovuta cercare in fretta un´altra parola. «Antigiudaismo».
I tre giovanotti se ne vanno trionfanti verso l´Etoile. Un distinto passante si avvicina. «È uno scandalo, monsieur. La polizia non c´è». Dov´è? «Se ne frega, o ha paura». Sospira: «Adesso lei capisce perché perché la Francia vota Le Pen». Non dice: «Io ho votato», ma il tono è trasparente. Insiste: «Gli americani non hanno capito, Israele non capisce. Questo non è un voto antisemita. È il contrario. È un voto per l´ordine, contro i "banlieusards", quelli di periferia che spadroneggiano ovunque. Un voto anti arabo».
Scena seconda, boulevard Barbès, zona sovraffollata di mercatini e macellerie arabe. Tolgo la Kippah, qui è meglio girare inosservati. Su un muro, il manifesto di una ragazza crocefissa. Il suo nome è «Palestina». Ai piedi della croce, ebrei caricaturali col naso adunco, sintesi postmoderna di Islam e vecchio pregiudizio cattolico. Accanto, campeggia, in spray nero: «Zidane traditore». Proprio lui, l´eroe algerino dei mondiali di Francia. Un musulmano spiega: «A qualcuno non va il suo invito a votare contro Le Pen». Chiedo: ma Le Pen non è anti-arabo? L´uomo fa un gesto largo, come una parentesi. «Le Pen è stato il solo a criticare Israele. Ha incontrato Saddam. Ha capito che Chirac e Jospin sono servi degli Usa, sionisti. Vede, per molti dei nostri, il voto per lui è un voto filoarabo».
Straordinario. Le Pen non parla mai di ebrei. Dice: lobby, massoneria, organizzazioni occulte. Ma il messaggio filtra. E così il Fronte Nazionale riesce a far passare due segnali eguali e contrari. A farsi votare da arabi antisemiti e magari da ebrei anti-arabi, come a Marsiglia. «È il segno dell´immenso campo libero che il Palazzo gli ha lasciato, tacendo su certi argomenti», commenta Louis Martinez, specialista di Paesi arabi al Centro Studi e Ricerche Internazionali del Quartiere Latino. «La politica vive nelle nuvole, ha perso il contatto con la gente. Si occupa di piste ciclabili e degli escrementi dei cani, mentre pezzi interi di periferia escono dal controllo».
Radio "J" è una delle tre emittenti degli ebrei di Parigi. Sta in mezzo al ghetto, zona rue Saint Antoine, in cima a una ripida scala semiclandestina. E´ qui che arriva per telefono il bollettino delle aggressioni. Una lite fra ebrei Lubavich e algerini in zona Vilette, un´auto a fuoco alla Courneuve, insulti a Orly, bottiglie contro la sinagoga a Saint Denis. E poi scolari inseguiti a Rouen, croci uncinate dipinte sui muri di Grigny La Grande Borne, insegnanti minacciati dagli studenti arabi per aver parlato di Shoah al liceo di Cachan. Sembra il display del pronto intervento in questura. Ma è anche la mappa della débacle della sinistra, dei quartieri operai esasperati che votano Front National. «Quello che accade qui agli ebrei è semplicemente il sintomo del crollo dello Stato francese», dice Diana Pinto, che qui studia l´antisemitismo europeo. «La scuola, il sindacato e l´esercito hanno esaurito la loro antica capacità di assorbire le diversità». L´islamista algerino Fouad Allam conferma: «La Francia non integra più, esclude. Il mito dell´Egalité è in frantumi, la geografia urbana produce ghetti, l´universalismo basato sui diritti si scontra col paradigma assoluto della Francia». Così oggi molti giovani cercano l´identità in moschea, ascoltano prediche anti-occidentali. Altri entrano nel gioco delle bande e dei clan.
Il declino lo misuri alle partite della Nazionale. Quando la Francia vinse i Mondiali nel '98, gli Champs Elisées furono invasi da bianchi, neri e maghrebini, tutti col Tricolore. Ma fu l´ultimo lampo di «Fraternité». Già due anni dopo, per la vittoria agli Europei, ogni immigrato aveva la sua bandiera. Non diceva: appartengo alla Francia. Diceva: esisto in quanto algerino, marocchino, senegalese. Poi arrivò il naufragio; nel 2001, alla storica partita Francia-Algeria. Migliaia di maghrebini fischiarono la "Marsigliese", bottiglie volarono contro i ministri in tribuna. Zidane pianse di rabbia. «Il governo ne uscì sconvolto - racconta Marc Semo, di Libération - ma decise di minimizzare. Disse: ragazzate. E sancì la spaccatura tra la sinistra e la realtà».
«L´antisemitismo dottrinale, scientifico, è finito», taglia corto Bruno Etienne, uno dei massimi esperti di immigrazione araba. «La violenza urbana attacca gli ebrei perché è di moda l´Intifada, ma domani può cambiare obiettivo. Assalire gli handicappati, i mendicanti, la polizia». «È semplicemente il ritorno al branco di fronte alla scomparsa della religione e della politica. Sono gli incubi di una società lucidamente schizofrenica, che tra la tribù e il McDonald´s non ha in mezzo niente. Un mondo impaurito dove Le Pen riesce a far voti tra gli ebrei e contemporaneamente tra gli arabi».
L´antisemitismo classico è morto davvero? Quello del caso Dreyfuss e del regime di Vichy pare finito, ma qualcosa di nuovo, oscuro e imprendibile, sta crescendo. Per Richrad Prasquier, medico ebreo di piazza Hugo, la Francia è il luogo dove si realizza «il triangolo fra tre antisemitismi: quello del nazionalismo arabo, quello dell´estrema destra, e quello dell´estrema sinistra antimondialista». Mostra un sondaggio recente: l´etnocentrismo è in calo, ma aumenta la convinzione che gli ebrei abbiano «troppo potere». A Créteil, a Sudest di Parigi, c´è la più grande Comunità di Francia, e madame Esther Szenkier, ebrea di origine polacca, vive nello sconforto. Il primo gennaio degli arabi hanno bruciato l´asilo della nipotina, e poco dopo un francese di pelle bianca, davanti allo stesso asilo, l´ha avvicinata dicendole: «Vi bruceremo tutti». Esther ha la voce rotta: «Dio sa quanto la parola "bruciare" fa male a una come me che ha i nonni morti ad Auschwitz. Oggi ho paura per i miei nipoti. Avevo giurato di educarli nella pace, e per la prima volta devo dir loro: siate diffidenti. No, non è il messaggio che avrei voluto dare». E poi, con amarezza infinita: «Voglio che Chirac lo sappia. La gente non voterà per lui, ma contro il fascismo».
Alla vigilia dell´11 settembre Pierre-André Taguieff ha scritto un libro profetico: "La nuova giudeofobia". Dice: «Mai nella Francia del dopoguerra amalgami antisemiti hanno impregnato così profondamente la società, incontrando così poca resistenza intellettuale e politica». Un esempio? Ti dicono «sporco ebreo», e la polizia classifica l´insulto come «atto di inciviltà». Ormai, il termine è diventato un´insulto qualunque, un equivalente di «idiota». Risultato: la banalizzazione. La guardia che si abbassa di fronte a un vocabolario che riconquista spazio fra i giovani.
La sola parola «antisemitismo» crea nervosismo nelle istituzioni. Non è solo la paura di irritare gli elettori arabi. È anche il paradigma della «Différence» che non molla, la fuga dall´idea di una Francia imperfetta. Michel Zerbib, caporedattore di Radio "J", racconta una reazione isterica di Chirac, durante gli auguri di fine anno alla stampa. «Quando lo invitai alla radio a parlare contro l´antisemitismo, divenne rosso come un semaforo, si mise a urlare in pubblico che in Francia l´antisemitismo non esisteva. E la stampa francese non scrisse una riga sull´episodio». Risultato: anche gli ebrei si chiudono nel branco, vivono la sindrome del complotto globale, parlano già di emigrare o rievocano la "Notte dei cristalli", come fosse tornato il nazismo. Olivier Kaufman, giovane rabbino della piccola sinagoga settecentesca di piazza dei Vosgi, capisce il rischio. Ma osserva: «Sono due anni che ci sgoliamo ad avvertire le autorità. Sono due anni che ci dicono: paranoici. Sono due anni che la polizia non arresta nessuno. E allora sa cosa le dico? Sono contento che Le Pen abbia preso tanti voti. Così la Francia la smetterà di dare lezioni di democrazia al mondo intero».

Paolo Rumiz

Paolo Rumiz, triestino, è scrittore e viaggiatore. Con Feltrinelli ha pubblicato La secessione leggera (2001), Tre uomini in bicicletta (con Francesco Altan; 2002), È Oriente (2003), La leggenda dei monti …