Giorgio Bocca: Malcostume in stile Ventennio

08 Settembre 2002
Prima passano i guastatori della democrazia, poi arrivano i predicatori della democrazia formale, quelli del popolo sovrano. Prima passano quelli che aboliscono la tassa di successione, creano lo scudo fiscale, fanno la legge Tremonti a favore dei costruttori abolendo o quasi le gare pubbliche. O riformano il falso in bilancio, riducendolo a una marachella da contravvenzione, e ancora tentano e ritentano di far passare l'immunità per sé e per gli amici, si impadroniscono di tutti i canali della televisione e dei maggiori quotidiani a conferma di ciò che disse l'economista Federico Caffè: «In un Paese come il nostro il ripristino del privilegio viene considerato il ripristino di una maggiore efficienza».
E poi arrivano i predicatori, guidati da un manipolo di intellettuali sedicenti liberali più calabrache di quanto lo furono quelli che aprirono la strada al fascismo. Liberali come il presidente del Senato Pera, che ha assistito senza batter ciglio alla cacciata dalla televisione dei giornalisti sgraditi al regime, che tace sui nuovi ringhianti spaccatutto del regime ma che è inorridito dai girotondi in cui vede le premesse del terrorismo e del giustizialismo.
Sembra di rileggere le cronache parlamentari dei primi anni Venti, quando ogni parlamentare antifascista che prendesse la parola veniva definito "giacobino sanguinario, massimalista provocatore di rovine, sovversivo". A sentire i liberali più berluscones dei berluscones il compito dell'opposizione sarebbe di mandar giù tutto. Assistere alla conta risaputa dei voti e approvare, o al massimo piangersi addosso. Secondo i berluscones di buone maniere, come il presidente del senato Pera e buona parte degli editorialisti dei maggiori quotidiani, l'opposizione dovrebbe stare zitta e buona, dire sì alla spaccatura del sindacato, alla progressiva distruzione della pubblica amministrazione, a iniziative demenziali come le devolution care a Bossi che, a quanto si è capito, consistono in una moltiplicazione delle cadreghe, a una politica economica antieuropea e avventuristica, alla promozione di un ceto dirigente mediocre o incapace.
Qualche articolo sui due o tre giornali non allineati, qualche convegno di studio, ma niente contestazioni pubbliche, basta con il disfattismo di cui si lamenta il capo del governo. Perché il nuovo regime non è fascista, ma come gli somiglia: stesso falso patriottismo, direttive e controllo dell'informazione. Vittimismo nell'arroganza, l'opposizione accusata di disfattismo se dice che i conti dello Stato vanno male.
Rileggiamocele le cronache parlamentari degli anni in cui passò la dittatura, le condanne degli oppositori per vilipendio delle istituzioni, della Casa reale del papa dell'esercito, le coperture delle violenze, per finire con la piena rivendicazione di tutti i delitti degli squadristi fatta da Mussolini. Ricordiamoceli gli attesisti di allora, quelli che vollero il patto di pacificazione ricompensati con un posto nella Camera dei fasci e delle corporazioni.
Accusare, come fa Pera, i girotondisti di essere i nuovi squadristi, i nuovi leninisti, accusare Cofferati e la Cgil di essere una nuova minaccia per la libertà è ridicolo e testimonia dell'infimo livello culturale del nuovo ceto dirigente. Questo sì che è preoccupante e fa temere per le sorti della democrazia. Questa incapacità di governare, di capire i problemi del nostro tempo, di adattarvi le istituzioni al cui posto c'è un attivismo confusionario che crea nuove contraddizioni, nuovi ostacoli. Altro che disfattismo: è in forte crisi la magistratura, quasi inesistente la difesa dell'ambiente. Sottoposta a continue riformucce velleitarie la sanità, velleitaria la politica estera. Ma a sentire la seconda autorità dello Stato il pericolo vero è rappresentato da Nanni Moretti e dai girotondini. Ahi noi.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …