Giorgio Bocca: Morire per Bush o per la libertà?

26 Settembre 2002
Morire per Bush? Morire per la legge dei più forti e dei più ricchi? Morire per i falchi o per le colombe che, gira e rigira, vogliono che perduri il potere dei potenti? Moriremo e così sia se non abbiamo il modo per impedirlo, ma non ci si chieda di esserne entusiasti di partecipare al massacro con le bandiere al vento. Nessuno nega la prevalenza millenaria del più forte, ma come trovarla edificante, intelligente, come partecipare al gaudio sanguinario dei dottor Stranamore che si ritrovano nei dibattiti televisivi e giornalistici?
Dice Colin Powell, il segretario di Stato americano che sarebbe una colomba: «Il terrorismo ha superato la Guerra fredda, prima le grandi potenze atomiche, America, Russia, Cina erano divise, nemiche ora sono alleate contro un comune nemico, i terroristi senza Stato che stanno facendo di tutto per entrare in possesso di armi nucleari o biologiche».
È vero le cose stanno pressappoco così, ma è per questo che dobbiamo morire? È questo brutale gioco di potere che dobbiamo scambiare per difesa della libertà? Moriremo, signori della guerra, ma senza il minimo entusiasmo. La ragione del più forte domina, come no, ma che ragione è? L'altra sera in un dibattito televisivo l'ex ministro degli esteri Gianni De Michelis avvertiva gli europei neghittosi e pusilli: se non partecipiamo alle guerre preventive dei più forti scompariremo dalla grande politica. È un ragionamento o un rifiuto della ragione?
Falchi e colombe di comune accordo dicono: «L'Iraq di Saddam è un pericolo mortale, dobbiamo colpire per primi». Un pericolo mortale? Perché sta tentando di fabbricarsi la sua atomica? Ma America, Russia e Cina non hanno migliaia di atomiche? Nella realpolitik l'America e gli altri giganti hanno ragione: ai confini degli imperi c'è sempre un nemico barbaro che prima o poi arriverà come nel "Deserto dei tartari" buzzatiano, magari ci impiegherà un congruo numero di secoli, ma arriverà, tanto vale ucciderlo subito nella culla.
È sempre andata così non lo si nega, ma non ci riesce di trovarlo trascinante, ammirevole da sacrificarci la vita. Comunque moriremo, nessuno chiederà il nostro parere, la Condoleezza Rice dirà sulle nostre tombe che era giusto morire, ma non sarà una gran consolazione dentro le urne. Falchi e colombe sono d'accordo sulla difesa dal nemico comune. Non per la comune difesa di una comune civiltà, perché fra l'America, la Russia e la Cina le differenze di civiltà restano enormi. Sono d'accordo per difendere la loro superpotenza.
Ciò che toglie la voglia di morire per questa difesa è la sua ipocrisia, la pretesa di far passare per giusto e morale e civilmente superiore il privilegio insidiato da un nemico non immaginario, ma presentato come tale, come arrivato misteriosamente dal cosmo.
Il terrorismo a cui si nega ogni movente legittimo, non la povertà, non l'emarginazione, non le ferite del colonialismo e del globalismo ma una voglia prava di colpire i giusti. «Ma perché ci odiano?», si chiedono gli americani. Perché siete i padroni del mondo e l'esercizio si paga, sarebbe facile rispondere, ma non ci crederebbero, gli imperi si sono sempre considerati come benefattori più che oppressori.
Si può morire per il petrolio come si può anche morire per la libertà e si può anche affermare che si tratta della stessa morte, ma non è così: i consumi non sono la stessa cosa della giustizia e della libertà e c'è da chiedersi se la civiltà dei consumi senza ideali ce la farà a sopravvivere.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …