Giorgio Bocca: Chi si illumina con l'eclisse

14 Novembre 2002
Prima o poi l'eclisse berlusconiana passerà, ma per i danni di civiltà che va facendo ci vorranno tempi lunghi e fatiche immani. I danni maggiori e più pervasivi li ha già procurati la caduta generale di stile, che non è solo una caduta formale, ma della immagine che si ha di se stessi e dei rapporti sociali e politici. Caduta non casuale, ma conseguente a una selezione del personale politico, affrettata e mirata alla restaurazione del peggio.
Al compagno di avventura Marcello Dell'Utri che gli chiede come si possa entrare in politica, Berlusconi risponde: "Facciamo un partito, lo hanno fatto tutti, lo facciamo anche noi". Ma i partiti non si fanno solo con i soldi e con i capannoni come un'azienda, si fanno con gli uomini e non tutti gli uomini sono disponibili.
Quelli a disposizione, al principio degli anni Novanta, sono i medesimi dell'azienda padronale, i pubblicitari di Publitalia e il criterio di reclutamento la dice lunga sull'idea che il padrone ha della società e della politica: vengono reclutati i cloni del principale, quelli che parlano e imboniscono come lui e come lui si vestono da piazzisti di blu o di grigio, mai di verde o di marrone.
Trattasi di un personale e di un progetto in un certo senso sovversivi, che si accodano alla rivincita mondiale del mercato e che rompono con le tradizioni e i progetti del personale politico formatosi nei decenni dell'Italia unita, nelle scuole liberali socialiste, cattoliche e anche fasciste, fra di loro conflittuali, ma unite da un'idea alta dello Stato e dalle comuni memorie.
Il guaio di questo personale di estrazione pubblicitaria, cui si sono aggiunti avvocati famelici e arrampicatori di ogni genere, è che ha la forza e la voglia di distruggere l'esistente, ma non sa cosa metterci al posto, per cui tutte le riforme di cui parla incessantemente finiscono in restaurazioni o in falsi revisionismi.
Non gli va bene nulla di ciò che è stato costruito in più di un secolo, non la scuola e la sanità pubbliche, non lo Stato sociale, non la libertà di informazione e neppure la diplomazia politica che diventa diplomazia degli affari.
Per capire questo riformismo restauratore e opportunistico basta osservare ciò che accade nella televisione occupata. Il nuovo padrone non ama che vi si discuta di politica e di amministrazione e ha fatto piazza pulita di chi bene, o a volte anche male, lo faceva. Ma non sa cosa metterci al posto e non sapendolo, fa riempire i vuoti di immondezza, pornografia e spettacolo di un livello infimo.
E c'è di peggio: in questa spazzatura si infilano gli opportunisti, al posto dei Biagi e dei Santoro che almeno erano dei professionisti, si insediano degli arrivisti, dei presenzialisti, dei cicisbei vanitosi che si sono spartiti i palinsesti e non perdono occasione per apparire al fianco del ministro Gasparri.
Il nuovo regime vorrebbe cambiare anche la storia del paese che non è stata fatta dai piazzisti, ma da quanti portavano rispetto alle loro idee e a se stessi, e allora danno fiato a un revisionismo storico mediocre e falsario, messo assieme con gli avanzi di magazzino dell'Istituto Luce.
Non una nuova giustizia, ma una giustizia a pezzi diffamata e violata in continuazione; non una nuova sanità, ma una serie di trucchi contabili per togliere con una mano ciò che si dà con l'altra; non una nuova editoria, ma la vecchia invasa dai libercoli dei cortigiani. Non un'Italia nuova, ma una in cui si rimpiangono persino gli errori e i rischi del passato; non la fine della corruzione, ma la sua ripetizione con altri metodi e altra strafottenza. Perché la riforma più evidente è di delinquere apertamente e pure di vantarsene.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …