Giorgio Bocca: Il Paese spaccato dal Cavaliere

23 Dicembre 2002
Il paese è spaccato in due. E questo, come che si voglia ragionarci o sragionarci su, è il risultato del primo anno berlusconiano. Questo, quale che sia la discussione che se ne fa, è il dato di fatto. Un traumatico affliggente dato di fatto per l´uomo che si era proposto, vantandosene, di rifare il Paese, di rivoltarlo come un calzino. Non lo ha rivoltato, lo ha lacerato. Perché dopo un anno di governo gli italiani si ritrovano divisi in due parti più che avverse incomunicabili, come se parlassero lingue differenti, come se avessero diverse memorie? Perché è venuta meno la fiducia fra governanti e governati, perché il riformismo ad personam dei governanti ha calato la maschera sul conflitto di interessi. Perché non si può riformare e mettere in crisi la giustizia solo per salvare gli esponenti della lobby e picconare ogni giorno la Costituzione.
Solo per arrivare a una Repubblica presidenziale, cioè a un sistema di potere blindato ad uso del nuovo padrone.
La nuova maggioranza che doveva rifare l´unità del Paese ha distrutto quanto di essa era rimasto. Le ragioni di una spaccatura sempre più netta, sempre meno componibile sono molte a cominciare dal recupero di due componenti politiche avverse alla Repubblica democratica: il neofascismo variamente mascherato e il separatismo della Lega. Due componenti che non riescono a nascondere la loro natura e i loro progetti contraddittori ma complementari: gli uni con la devolution, gli altri con i ritorni allo Stato forte. E l´Italia che in mezzo secolo di Repubblica ha faticosamente difeso l´unità e i diritti dei cittadini non ci sta, tanto più se è chiaro che le porte dello Stato sono state aperte ai nemici passati e presenti solo per una convenienza elettorale.
Negli ambiziosi progetti riformatori uno è sempre rimasto in ombra, quando non cancellato: la lotta alla criminalità organizzata. E non è con repressioni forti, di facciata, come il carcere duro per i capi mafiosi che si nasconde il ritorno alla convivenza con le mafie. I magistrati che sono in prima fila quasi ogni giorno gridano al progressivo disimpegno dello Stato e il presidente dell´antimafia Vigna ha informato il Paese sul ritrovato e totale controllo delle mafie sulla economia meridionale.
Hanno un bel dire gli uomini della maggioranza che il pentito Giuffré non è attendibile, come non lo sono tutti i pentiti, ma i cittadini dell´altra Italia e non solo di essa sanno che le sue confessioni sono credibilissime.
Non è accettabile dall´altra Italia faticosamente cresciuta fra i Paesi civili la progressiva depenalizzazione che questo governo e il suo presidente applicano con metodo e tenacia. Forse gli avvocati penalisti si stanno finalmente accorgendo che si toglie loro il mestiere, non passa giorno che reati come quelli del falso in bilancio o della pubblica corruzione diventino reati amministrativi non più da galera ma da contravvenzioni, e che il condono sistematico a favore dei gruppi di pressione più forti e a danno degli onesti sia un invito a violare le leggi, a svuotarle di potere a convincere i cittadini che sono un inganno per i gonzi, buone per un paese di Pulcinella.
L´altra Italia non ama che ogni giorno, nelle più diverse forme si cerchi di abbattere quell´altro pilastro della democrazia che è il sindacato. Questa operazione continua di divisione e demolizione del sindacato non è una novità nel campo del capitalismo sfrenato, Reagan e soprattutto la Thatcher prima di Berlusconi, ricorsero contro il sindacato a una vera guerra con scontri brutali. Da noi per mesi abbiamo assistito alla campagna contro l´estremismo della Cgil e di Cofferati. E accanto allo scontro principale le scaramucce continue, il capo del governo che denuncia le proteste operaie come sovversive, che invita i disoccupati a cavarsela con il lavoro nero e i giornalisti moderati che non scioperano quando lo decide il sindacato, gli uomini dell´informazione governativa che non aderiscono alle proteste per le violazioni sindacali.
Gli uomini del dialogo ci hanno rimproverato nei mesi scorsi di catastrofismo. Ancora ieri uno di loro ha fatto un elenco degli «incubati» cioè di quanti vivono nell´incubo del Berlusconi presunto dittatore.
Semplicemente, chi sa di storia, constata che certi processi sono inevitabili, che di fronte alle difficoltà del governare solo con i numeri parlamentari e con la forza, la tentazione o la necessità dell´autoritarismo sono inevitabili. La domanda a questo punto è una sola: l´altra Italia, quella che ha costruito assieme la Repubblica democratica, avrà la capacità di resistere, o la voglia e la necessità di autoritarismo avranno la licenza nazionale e internazionale di arrivare al regime scoperto?

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …