Maurizio Maggiani: Avezzano, Marsica, Italia

20 Gennaio 2003
Ad Avezzano ho visto per la prima volta la nebbia gelata. E l’ho anche toccata se è per questo; prima con il naso, naturalmente, e poi con le dita. Era proprio gelo frullato a velo. Volevo tornarmene a casa, e forse l’avrei fatto se ci fosse stato qualche convoglio che nottetempo avesse osato risalire gli Abruzzi verso la riviera del Tirreno. Questo non è possibile, mi è stato detto, e non ho capito se era per via della notte e del gelo o per le restrizioni del nuovo corso delle Ferrovie.
Forse Avezzano è bella, forse no; di certo un uomo di riviera non ne è all’altezza, almeno d’inverno, soprattutto di notte. La Marsica è terra di fiere, mi ha insegnato la buonanima della maestra Fabbri, che non ha mai usato la bugia neanche a fin di bene. Nell’incerto valico dalla stazione alla piazza di città ho intuito tra un fanale e l’altro un’ombra dentro la mia stessa ombra: sarà orso, lupo o leone?, ho chiesto alla buon’anima. Dai caffè significativamente opulenti e gremiti i marsicani mi adocchiavano senza prendere posizione.
Il terremoto e la guerra che hanno orrendamente dirotto e spianato Avezzano hanno forse lasciato i suoi cittadini nell’interdetto circa la vanità delle fortune umane. Prima di tutto pensiamo alla salute, si saranno detti, e saggiamente hanno dato mano in primis alla ricostruzione di caffè, appunto, e trattorie e ristoranti e negozi, e altri presidi di vitale importanza per l’affermazione della bontà di essere vivi. A poi i futili estetismi, a quando un poco di certezza avrà preso il sopravvento sul trauma della distruzione. C’è bellezza in questo? Forse si, forse no. Ma certo c’è riparo, e vita. E naturalmente ristoro.
Che io ho trovato, eccome!, dalla nebbia gelata, dalla vastità delle ombre e dall’orso (o lupo, o leone?) colmando il vacuo e supponente orrore dell’inestetico prima in trattoria e poi al caffè.
E così, ripieno di sostanze che non oso elencare, ho infine rinvenuto il Monumento. Pertinente e unico, torreggiante nel suo genere su ogni altro da me incontrato nelle città d’Italia: il Cinema Impero.
Se anche la città di Avezzano avesse sacrificato tutte le vestigia del passato in suo onore, ne è pur valsa la pena.
Miracolosamente scampato alla guerra? Amorevolmente ricostruito su piani e materiali originali? Non saprei. Ma era proprio lui. Asciutto razionalismo fecondato da innesti assiro-babilonesi, travertino e neon a colonnina, tendaggi di impenetrabile velluto e cassa bivalve con annesso banco-dolciumi con decori in gesso color malva e confetto. Cassiera alla moda tabarin insignita di smalto, rossetto e sigaretta, sinuosamente gattesca nel gesto dell’incasso e del resto. E anziana, storica, felpata lucciola. Già, la dolce lucciola lucifera che accompagna alla poltrona, pone il ditino sulle labbra per castigare i vocianti, saluta e ringrazia per le mille lire. E un film di prima visione; bello, robusto, di odio e passione, guerra e avventura; tuttoschermo monofonico a colori, mentre nella sala, dalle onorevoli vetuste poltroncine si alza dolce e discorde il sommesso gracidio degli snacks.
Presidio della vita civile marsicana, lussureggiante riparo dalle intemperie dell’inverno delle anime, il Cinema Impero, che io sappia, esiste solo ad Avezzano, o meglio, resiste solo lì, saldo nel suo splendore nella città del terremoto.

Maurizio Maggiani

Maurizio Maggiani (Castelnuovo Magra, La Spezia, 1951) con Feltrinelli ha pubblicato: Vi ho già tutti sognato una volta (1990), Felice alla guerra (1992), màuri màuri (1989, e poi 1996), Il …