Gabriele Romagnoli: Il Cairo, primo esilio di Saddam

30 Gennaio 2003
Mandare Saddam in esilio può essere una buona idea, ma non è nuova. E´ già successo una volta, tra il 1959 e il 1963. Parte di un commando che fallì l´assassinio del presidente Qassem, Saddam fuggì dall´Iraq e, attraverso la Siria, raggiunse Il Cairo. Il racconto di quei quattro anni, ricostruito attraverso biografie e testimonianze, contiene tutti gli elementi della storia che verrà: solitudine e violenza, amicizie tradite e conti in sospeso, un rapporto ambiguo con l´America e, perfino, vane ispezioni alla ricerca di armi. Nonché, a margine, un matrimonio a distanza e un paio di ammazzamenti, presunti ma non provati.
La storia del primo esilio di Saddam comincia con una lunga cavalcata nel deserto, camuffato da beduino e con una grave ferita alla gamba. Nel film che racconta la sua vita, da lui supervisionato, si toglie il proiettile da solo, con una pinza arroventata. Un medico che lo visitò, ora a Londra, sostiene che aveva un graffio al polpaccio. Dal comitato per gli esuli iracheni, che Nasser aveva affidato a Abdel Majid Farid, Saddam ottenne un sussidio mensile e una casa. Lo mandarono a scuola, perché finisse il liceo. Farid lo ricorda come "uno tranquillo, che non avanzava pretese". Ma Farid, come si vedrà, ha avuto i suoi motivi per revisionare la memoria. Di se stesso, Saddam ha fatto scrivere che in quegli anni, "emulando Nasser, si dedicò al gioco degli scacchi e alle letture delle biografie dei grandi della storia, in particolare Stalin". Esclude di essersi dedicato alla vita notturna.
Su questo, esistono due versioni divergenti. La prima, sostenuta da Farid, lo ricorda come un solitario, che aveva per solo amico il portinaio "al quale ha continuato a spedire regali fino alla prima guerra del Golfo". Per la seconda, il giovane Saddam frequentava i caffè, in particolare il Triumph e l´Indiana. Beveva tè (poi si scoprì una deplorevole passione per il vino rosé) e fumava shisha (i sigari glieli fece scoprire il presidente algerino Boumedienne). Litigava e alzava la voce. Il proprietario dell´Indiana Cafè, Hussein Meguid, avrebbe voluto bandirlo dal locale, ma un paio di poliziotti vennero a spiegargli che quel piantagrane era protetto da Nasser in persona. Si alzava e faceva segnare su un conto che non pagò mai. Quando, quattro anni più tardi, se ne andò, ammontava a 700 dollari. Aveva, di certo, pochi amici egiziani. Lo scrittore e commediografo Ali Salem ricorda che cercava di inserirsi tra i letterati, un paio stettero anche ad ascoltarlo, ma perché lo trovavano folkloristico. Farid lo fece iscrivere all´Università, ma lui non frequentò mai. La laurea in legge la prese anni dopo, a Bagdad, presentandosi all´esame finale come un gangster da film di serie B, mettendo la pistola sul tavolo del professore: "Così mi sento più a mio agio".
Portinaio escluso, aveva al Cairo un solo grande amico. Di più: un fratello gemello: Abdel Karim Shaikly, che con lui era fuggito dall´Iraq e che di lui era molto più raffinato e fortunato con le donne. Fu lui a organizzargli, nel 1962, la festa di nozze. Non fu un matrimonio vero e proprio: la sposa, sua cugina Sajida, era rimasta in Iraq, ma con la cerimonia Saddam confermava la validità dei suoi propositi, in attesa di consumazione. Le spedì un anello e partì in luna di miele. Ci sono foto strepitose che lo ritraggono, solo, adagiato sulla sabbia in riva al Nilo a Luxor o in piedi, vestito come un damerino a riposo, mentre scruta la madre di tutte le nuvole. In sua assenza, la polizia egiziana gli perquisì casa. I motivi erano due. Primo: durante le frequenti liti minacciava di fare una strage. Gli ispettori cercavano armi, che non trovarono. Secondo: aveva rapporti non chiari con gli americani. Saddam reagì in maniera violenta e fu incarcerato per qualche giorno. Lo scrittore Al Bayati sostiene che nel suo fascicolo risultavano anche due omicidi: quello di un egiziano buttato dalla finestra nel '60 e quello di un iracheno accoltellato nel '63, ma quei documenti, se esistevano, sono scomparsi. Tuttora rintracciabile, invece, quello della Sicurezza Egiziana numerato D/16829, datato 19 giugno 1961, in cui si annotano "visite del rifugiato Saddam Hussein" all´ambasciata americana. Frequenti i contatti con la Cia, il cui direttore Allen Dulles considerava l´Iraq comunista di Qassem il "pericolo numero uno sulla Terra". Saddam voleva uccidere Qassem e tuttavia, datata 1961, esiste la ricevuta di un suo telegramma spedito al presidente iracheno da un ufficio postale di Dokki in cui gli esprimeva pieno sostegno: aveva appena reclamato la sovranità di Baghdad sul Kuwait. Nel febbraio '63, con l´aiuto della Cia, Qassem ebbe la morte che Saddam non aveva saputo dargli. L´esilio era finito. Ripartì con il gemello Shaikly.
Il gestore dell´Indiana Cafè se lo ritrovò davanti, negli Anni 70, vicepresidente in visita ufficiale: gli pagò i 700 dollari più altri 300 per gli interessi. Il suo angelo custode Farid, imprigionato e poi cacciato da Sadat, lo reincontrò in Algeria, 15 anni dopo e ricevette un biglietto per Baghdad e tutto l´aiuto di cui aveva bisogno. Il fratello gemello Shaikly espresse dubbi sulle esecuzioni in piazza e non volle sposare sua sorella. Lo ammazzarono mentre, con la moglie incinta, andava a pagare la bolletta del telefono.
Tornerà Saddam, esule al Cairo? Lo storico Samir Raafat ha detto al Cairo Times: "Perché no, qui accettiamo tutti gli esuli, anche i morti", con riferimento alla salma dello Scià di Persia. Ali Salem ride: "Dipende: se ha un conto in Svizzera lo fanno califfo di Sharm. Se è al verde: Bielorussia, s´accomodi". Dicono che suo cugino Ali (detto il Piccolo Chimico per le armi che usò contro i curdi) volesse venire a trattare con Mubarak, poi ha saputo che gli Usa avevano un mandato internazionale d´arresto, che l´ambasciatore conferma. Non è più il tempo delle chiacchierate anti-comuniste.
Su una cosa tutti concordano: se proprio dovesse scegliersi una nicchia da esule, tornerebbe all´Indiana Cafè. Ma non accadrà, scommettono. "Ha vissuto combattendo, morirà combattendo" dice Ali Salem. Nelle sue memorie, Saddam ricorda l´esilio come un ergastolo. Preferisce, anche per se stesso, esecuzioni capitali.

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …