Nadine Gordimer: Quella paura che ci unisce

31 Marzo 2003
Esiste uno stato d´animo mondiale? Di certo un fenomeno simile si è manifestato nelle scorse settimane, eccetto, forse, in qualche enclave isolata dalla natura, ammesso che la foresta impenetrabile e i ghiacci impraticabili non siano stati alla fine invasi dall´informatica. Dopo le guerre non era insolito imbattersi in persone vissute in isolamento in luoghi remoti, del tutto ignare del conflitto. Il nostro mondo non è mai stato tanto informato. La consapevolezza di una guerra che vede contrapposte la potenza dominante tra le nazioni ed un potere di amorfa potenzialità (chi sa per certo quali forze si uniranno in solidarietà religiosa) ha rappresentato un permeante cambiamento del clima globale che tutti abbiamo respirato.
Sul preteso problema delle armi di distruzione di massa emergono numerose reazioni: rabbia, bellicosità, scetticismo, sacro furore da parte dei fedeli della democrazia e dei fedeli dell´Islam.
Tra i nemici che temono i gas venefici e infezioni occulte (il gas non esploderà anche sopra a chi lo lancia, i morbi non infetteranno anche chi li diffonde?) c´è un miasma di quel clima da cui nessun indumento speciale, maschera o protezione di plastica potrà difenderci. La paura. Inconfessata, condivisa da amici e nemici anche quando null´altro lo è.
Si cerca una qualche saggezza nelle altrui meditazioni sulla paura. Ecco l´euforia del discorso di investitura di Franklin Delano Roosevelt del 1933. Era forse la salita al potere di Hitler, così europeo e lontano, che Roosevelt aveva in mente quando pronunciò queste parole: "Lasciate che esprima la ferma convinzione che l´unica cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa". Suona insulso oggi, dopo le nuove forme di sterminio umano che da allora abbiamo scoperto per noi.
La paura può rivelarsi una risorsa positiva? Ricordate il vecchio adagio "La paura è la miglior difesa". Ma un´affermazione del genere susciterà obiezioni morali, giustifica la vigliaccheria, rifuggendo dal dovere di difendere i valori in possesso della nostra società.
Tucidide fu il primo filosofo che studiai da adolescente. È naturale che oggi ritorni a lui e trovi in un vecchio quaderno un´altra interpretazione del fenomeno della paura. "Che la guerra sia un male è noto a tutti e non avrebbe scopo continuare ad elencare tutti gli svantaggi insiti in essa. Nessuno è costretto alla guerra dall´ignoranza, né, ove creda di poterne trar vantaggio, gli è di freno la paura".
Le proteste di massa contro la guerra in Iraq condotta dagli Usa nascono dal convincimento che il vantaggio, portato dalla guerra, di avere il controllo dei giacimenti petroliferi secondi nel mondo, non è "frenato" dalla paura che migliaia di persone "agli ordini del nemico" saranno uccise e che ai sacchi che sigillano i cadaveri di virtuosi giovani vincitori non servirà mai più carburante.
"La paura ha molti occhi è può vedere sottoterra", osserva Cervantes. La paura di ciò che sta accadendo – ne abbiamo nelle orecchie il rombo – non è forse iniziata dentro di noi quando l´11 settembre 2001, ha sepolto l´invincibilità?
Se il tempo appartiene ad un piano dell´esistenza che i grandi scrittori a volte riescono a penetrare, non anticipa forse Ground Zero T.S. Eliot quando scrive, nel lontano 1922: "E vi mostrerò una cosa diversa da tutte/ la vostra ombra al mattino che vi cammina alle spalle/ o la vostra ombra la sera che sale a incontrarvi; vi mostrerò la paura in un pugno di polvere".
Faccio parte di quelli che vivono lontani dal terribile rischio di attacchi e rappresaglie attraverso gli oceani e i cieli. Ma non mi trovo fuori dal mondo, in un´enclave isolata ormai inesistente. E al pari di molti che vivono distanti dai continenti di battaglia, ho tuttavia in gioco una posta personale in questa guerra: qualcuno che mi è molto caro abita con la sua giovane famiglia nel cuore vulnerabile di New York.
Mi racconta che la scuola dei suoi figli ha comunicato ai genitori di aver attrezzato a rifugio il seminterrato con scorte d´acqua e un sistema di ventilazione in grado di impedire l´ingresso di sostanze tossiche. C´è gente, dice, che ha fatto i bagagli e ha lasciato la città, ovvio bersaglio di violenza, diretta o insidiosa.
Andarsene significa cedere terreno a chi minaccia? O è una scelta razionale per chi può permettersi di assentarsi dal posto di lavoro e ha dove andare: da qualche parte al sicuro.
Al sicuro. Chi può dire quale e dove sia il luogo fuori dalla gittata delle armi non convenzionali che, ci dicono, provengono dai laboratori, non dagli arsenali?
Che cosa pensi di fare? Gli chiedo.
Mi ricorda allora: "Che cosa avete fatto tu e quelli come te durante i periodi difficili dell´apartheid, quando incombeva il pericolo di essere arrestati dalla polizia politica o che un fanatico di destra piazzasse una bomba per farti saltare in aria sulla tua auto?".
Continuato a fare una vita normale.
I pericoli sono relativi, oltre il tempo e la distanza. La paura è relativa, sia che minacci una moltitudine che una singola vita, ma esige sempre la stessa risposta: un si o un no. Arrendervisi intimamente o rifiutare di subirne il logorio, paura che divora l´anima.

Nadine Gordimer

Nadine Gordimer (1923-2014), nata nel Transvaal, in Sudafrica, premio Nobel per la letteratura nel 1991, ha pubblicato con Feltrinelli: Un mondo di stranieri (1961), Occasione d’amore (1984), Un ospite d’onore …