Giorgio Bocca: L'ossessione del Cavaliere

14 Maggio 2003
Nel capo del governo che ci ritroviamo non c'è né la pazzia pesante di uno Stalin né quella leggera, quasi poetica di Erasmo, la "lungimirante visionaria follia". C'è solo l'egocentrismo parossistico di un parvenu milanese pronto a sfasciare per i suoi interessi personali, le istituzioni, la civiltà politica, la giustizia, la pace sociale del suo Paese.
Una minaccia processuale e una vigilia elettorale lo hanno scatenato come un tornado che va percorrendo l'Italia con piccoli e grandi disastri e soprattutto con lo sbalordimento di quanti si chiedono: ma perché lo fa? Perché glielo lasciano fare? Perché questo imprenditore di immagini rilucenti e di persuasioni occulte può riempire il Paese dei suoi lazzi, delle sue rodomontate, delle sue gaffes? Non si può neppure chiedere alle forze dell'ordine di identificarlo perché lo conoscono tutti dal Brennero a Capo Passero. E il piccolo Cesare che ci ritroviamo a sessanta anni di distanza dal grande Duce che fece disastri ma non disse mai sciocchezze sesquipedali come: "Nessuno può offendere il presidente del Consiglio, dico la sua carica". Nessuno gli ha mai spiegato cosa sono la democrazia e l'opposizione?
Ci creda, presidente, gli insulti e gli improperi che lo accompagnano per le piazze e le strade d'Italia non sono organizzati da quei perfidi dei comunisti, anche se avrebbero ragioni da vendere. Lei li ha trattati e li tratta come la feccia della nazione, da escludere da ogni responsabilità di governo, anche se sono un terzo del paese, protagonisti della ricostruzione, partecipi di quella saggezza politica che ci fece passar indenni per la guerra fredda e poi per gli anni di piombo. Si lamenta del complotto e minaccia le manette: "Perseguirò gli autori delle offese. Lo farò con determinazione, in termini penali, non credo di essere illiberale ma solo di compiere un dovere. Non alzo la voce, faccio presente con moderazione che un comportamento del genere non è producente. Gli autori delle offese saranno identificati, tutte le volte che sarà possibile farlo" .
Il nostro presidente del Consiglio sembra spinto non tanto dalla leggiadra follia di Erasmo quanto dalla vecchia risolutezza da questurino "attento che ti sbatto in galera". Inesauribile ma ormai più che prevedibile. Non gli va la costituzione "sovietica" del '47. Non gli va Bandiera rossa, tira in ballo anche l'Alighieri: "Padre Dante non poteva sapere che ci sarebbero state canzoni come "Avanti Popolo" che è la dimostrazione come anche nella musica c'è posto per la cattiveria". Ma fermatelo, cloroformizzatelo, fategli cantare le sue canzonette napoletane a cui, ci ha informato, si dedica "dall'una di notte alle sei del mattino". Parla ai congressisti della "iniziativa balcanica ionica" che negli anni passati hanno passato giorni tragici, come se dalle bocche dell'inferno fossero ritornati nelle loro terre gli orrori di antiche barbarie. E non capiscono di che cianci il signore in doppiopetto blu, se di canzoni napoletane o di prove di dittatura, se di sparate pre-elettorali o di cose serie come la storia del suo Paese che evidentemente ignora se nel 2003 indica come pericolo pubblico un comunismo che non c'è più e che per fortuna c'è stato per opporsi al suo torbido qualunquismo, al suo sfacciato affarismo che in politica chiamano "conflitto di interessi".
"Stavo solo scherzando", ha detto a spettacolo finito. Ma sono scherzi che ci fanno correre brividi per la schiena. "Cerco", ha terminato "di alternare momenti seri a momenti meno seri".

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …