Guido Piccoli: Questa guerriglia è un affare

24 Giugno 2003
Quando abbiamo scoperto quel tesoro siamo impazziti tutti dalla gioia". Adesso al soldato Sanchez il ricordo provoca sofferenza. Era il 18 aprile scorso, quando l'esplosione di una mina, nella foresta del Caquetà, fece scoprire a lui e a centoquaranta suoi commilitoni del 50 Battaglione di controguerriglia una dozzina di bidoni sotterrati dai ribelli delle Farc (Forze armate rivoluzionarie colombiane). Contenevano venticinque milioni di dollari. "Era il Venerdì Santo e abbiamo pensato che il Signore avesse deciso di farci trascorrere finalmente una buona Pasqua dopo mesi di battaglie continue", si giustifica il militare che, quella mattina, partecipò alla spartizione della favolosa somma insieme ai suoi pari grado, ai sergenti e agli ufficiali.
Nei giorni successivi, tutti si diedero alla pazza gioia affollando ristoranti e bordelli delle cittadine più vicine o acquistando tutto quello che fino ad allora non si erano neppure permessi di sognare. E molti si congedarono senza spiegazioni. Lo scandalo scoppiò puntuale un mese dopo, quando buona parte della compagnia finì in galera, mentre i giornali ripresero a parlare delle immense risorse economiche delle Farc. Quando le fondò, nel 1964, il giovane proprietario terriero Manuel Marulanda, detto Tirofijo, aveva intorno a sé quarantacinque uomini e due donne, armati per lo più di fucili da caccia e vecchie pistole. Adesso il settantaduenne capo guerrigliero dirige, protetto da un inviolabile cordone di sicurezza, tra i diciassettemila e i ventimila combattenti organizzati in colonne, fronti e blocchi operanti in tutto il Paese. Senza contare i componenti delle Milizie Bolivariane che agiscono, in clandestinità, nelle periferie di Bogotà, Medellin, Cali e delle altre città colombiane. Una massa enorme da sfamare, armare, mantenere efficiente e pronta a entrare in azione in ogni momento, per un'imboscata, un attentato o un posto di blocco volante. Anche se nessuno, tranne Tirofijo e qualche altro membro della Comandancia conosce i veri bilanci della sua organizzazione, le autorità parlano di un volume d'affari che va dai due ai quattro miliardi di dollari all'anno. Sono numeri probabilmente gonfiati ad arte, per scusare l'incapacità governativa nel combatterle e sconfiggerle, ma anche dimezzandole restano pur sempre cifre da capogiro, gestite oltre tutto con grande oculatezza.
Sul settimanale Cambio 16, il giornalista Antonio Caballero arrivò a definire Tirofijo "un mago delle finanze" e ad augurarsi ironicamente una sua vittoria: "Non solo risparmieremmo la fortuna che ci costa fargli la guerra, ma avremmo un Paese che funziona finalmente come un orologio svizzero". Quando si parla di entrate delle Farc, il pensiero va subito alla droga. Le polizie colombiane e la Dea, l'agenzia antinarcotici del governo Usa, sostengono che le Farc si sono trasformate, dopo l'uccisione o la cattura dei mafiosi di Medellin e Cali, nel "maggiore cartello della droga", con entrate annue che superano i due miliardi di dollari all'anno. Nonostante gli immensi sforzi di intelligence fatti finora, non sono però riusciti a dimostrare il coinvolgimento dei ribelli nella fase della commercializzazione, quella più redditizia del ciclo.
I capi guerriglieri non hanno difficoltà ad ammettere di tassare produzione e traffico nelle regioni da loro controllate, con imposte variabili su ogni chilo di pasta di coca che vi transita e, soprattutto, su ogni ettaro di coltivazioni illegali, sui laboratori di raffinazione e gli aeroporti d'imbarco dei carichi. Rifiutano però la definizione di narcoguerriglieri. "Perché non ci chiamano banano, caffè o petroguerriglieri, visto che tassiamo ogni ricchezza presente nel Paese?", ha dichiarato sulla Tribune de Genève Juan Antonio Rojas, portavoce delle Farc in Europa. I guerriglieri sostengono di avere le carte in regola in materia di droga, visto che da anni propongono la sua legalizzazione che considerano "l'unico mezzo per far finire il narcotraffico". Sanno comunque di poter contare su molte altre fonti di finanziamento. Secondo Paul Collier, direttore della sezione Sviluppo del Banco Mondiale, finora la guerriglia ha estorto più di un miliardo di dollari soltanto alle multinazionali europee presenti in Colombia.
Un'altra voce di entrate florida è la cosiddetta "industria del sequestro", che - secondo i dati ufficiali della fondazione Pais libre - colpisce in media tremila persone all'anno. Ai guerriglieri viene attribuita più della metà dei rapimenti a scopo estorsivo, realizzati soprattutto nei quartieri-bene delle grandi città, grazie alle informazioni dei loro fiancheggiatori che lavorano come autisti, portieri e cameriere. Dal marzo 2000, le Farc danno una veste legale a questo delitto con la "legge tributaria 002", che impone una tassa del 10% alle persone fisiche o giuridiche che abbiano un patrimonio superiore al milione di dollari. "Se qualcuno l'evade, lo preleviamo e ce lo teniamo finché non paga quello che gli spetta più gli interessi", sostiene Rojas. Le cronache raccontano di molti sequestrati morti per stenti nella foresta o eliminati per non avere voluto o potuto pagare il riscatto richiesto. Da un paio d'anni, vanno di moda le cosiddette "pesche miracolose", cioè i sequestri di massa realizzati bloccando per ore una strada importante, come la Bogotà-Medellín, o irrompendo in un luogo pubblico come una chiesa, un cinema o uno stabilimento balneare: tanti più pesci grossi cadono nella rete, tanto più grande è il miracolo. Mentre i più fortunati se la cavano con una tassa "una-tantum" di poche migliaia di dollari, per gli altri inizia un calvario di mesi nella selva in attesa del pagamento del riscatto.
La pratica del sequestro non si limita a colpire dirigenti e tecnici delle grandi imprese nazionali o multinazionali, o i milionari colombiani che non sono ancora fuggiti all'estero e che trascorrono la vita tra guardie del corpo e auto blindate. Soprattutto nelle zone d'influenza dei reparti che non possono attingere al narcotraffico, versano la tangente, che viene chiamata significativamente vacuna (vaccinazione), anche le fasce più povere della popolazione: piccoli possidenti terrieri, commercianti, camionisti, barcaioli e proprietari di locande, taverne, depositi, botteghe artigiane e bordelli. È per questo delitto, che la stampa sembra considerare più atroce degli omicidi e dei massacri, che gli uomini di Tirofijo rischiano di pagare un alto prezzo politico.
Nei decenni scorsi, le Farc persero l'egemonia in alcune regioni "per l'incapacità di attuare una politica di alleanze, confondendo il piccolo e medio proprietario con il grande latifondista", come riconobbe lo stesso comandante del IV Fronte che operava lungo lo strategico rio Magdalena. Anche gli intellettuali più radicali sostengono che, se non si può ragionevolmente pretendere che si mantengano organizzando sottoscrizioni, lotterie o feste di beneficienza, è ragionevole aspettarsi da Tirofijo e le sue Farc un'applicazione meno brutale della machiavelliana teoria del "fine che giustifica i mezzi".

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