Il Caciucco

12 Gennaio 2004
Il Caciucco? Figuriamoci, come se fosse facile fare il caciucco! Intanto, quale caciucco? Quello livornese, quello viareggino, quello alla lericina, o quello genovese o sanbenedettese? E questo per semplificare, perché a voler essere precisi, ogni peschereccio tirrenico ha il suo caciucco; più le imitazioni adriatiche.
Tutto incomincia dal kajuk, ovverossia dal piccolo detto nella lingua dei turchi, in evidente e storica confidenza con i nostri pescatori. Issate le reti e sistemato il pescato, accalappiato alle maglie o nel fondo delle cassette ne avanza sempre un po': minutaglia guastata rotta e scompagnata. Siccome risulta invendibile, i pescatori se lo mangiano loro, ogni gruppo, ogni famiglia, a suo modo, a partire dal principio che, essendo pesce malridotto e già di sua natura delicato e spinoso, va cotto con "comodo", ben accomodato. Caciucco, buridda e brodetto sono solo i termini più comuni per indicare in Toscana, a Genova e nell'Adriatico un unico intendimento di accomodare con odori pomidori e un'attenta cottura pescetti interi e a cocci. Su questa base le varianti sono pressoché infinite e trattandosi di pesce, anche un nonnulla modifica il tutto.
Se proprio vi va di giocare al povero pescatore, eccovi una ricetta, la mia ricetta, imparata bighellonando per le marine del mio litorale, che siccome è lì dov'è, si barcamena tra Livorno e Genova, tra caciucco e buridda.
Comprate all'arrivo dei pescherecci, o al mercato la mattina presto, poche trigliette di scoglio, due scorpene, due pesci capponi, qualche fetta di palombo, qualche sogliolina e qualche ghiozzo, una coda di rospo, una manciata di cicale (le canocchie toscane, quei crostacei che una volta regalavano per il buon peso, senza tenaglie e con due occhioni tristi disegnati sulla coda) e, poca altra minutaglia di stagione (aguglie, ad esempio, che una volta se ne trovavano, boghe e bavose, che per non so come si chiamano in italiano). Pulite o fate pulire appena un po', levando il buzzetto e magari lasciando il fegato; le teste lasciatele da parte; mi raccomando ricordatevi di non buttarle via. In una grossa casseruola di terra soffriggete un battuto di prezzemolo, aglio, cipolla, sedano e carota. Appena indorato aggiungete un paio di acciughe salate e una manciata di pinoli (i pinoli, imparerete, sono insostituibili catalizzatori di dolcezza); disfatte le acciughe si versi un bel po' di pomidori da sugo interi senza buccia; salate e spizzicate un cincino abbondante di peperoncino rosso. A questo punto aspettate che il sugo si restringa e fate bollire appena le teste in acqua e sale; poscia tritatete fini fini, unitete a un po' della loro acqua con dell'aceto leggero e versatele nel sugo. Attenzione! Avvenuto l'amalgama immergete, dico immergete, i pesci nel laghetto di sugo dopo averli infarinati alla leggera. Fate conto che avvenuta l'operazione voi non potrete mai più toccarli fino a fine cottura; dunque sistemateli bene e con mano di fata. A questo punto il difficile è di far cuocere per il giusto tempo l'insieme a un regime che proclamerei di "delicata ma significativa sobbollitura". Ovvero, i pesci devono cuocere impregnandosi di sapori senza soffrire; essendo tutta roba delicata i tempi sono ristrettissimi. A occhio si tratta di un quarto d'ora, ma potrebbero anche essere venti minuti. Il risultato finale deve essere una zuppetta appena densa con i pesci e i pezzi ancora interi.
Servite in profonde scodelle contenente ciascuna una bella fetta sottile di pane toscano raffermo. Nel riempirle vedete di non sciupare tutto squagliando i pescetti. Si mangia doverosamente col cucchiaio.

Maurizio Maggiani

Maurizio Maggiani (Castelnuovo Magra, La Spezia, 1951) con Feltrinelli ha pubblicato: Vi ho già tutti sognato una volta (1990), Felice alla guerra (1992), màuri màuri (1989, e poi 1996), Il …

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