Stefano Rodotà: Omosessuali il muro della Chiesa contro l´Europa

04 Agosto 2003
Vogliamo provare a ragionare da europei, come ormai sempre si dovrebbe, di fronte al documento vaticano sulle unioni omosessuali? La prima riflessione nasce dal fatto che il riconoscimento giuridico di queste unioni, in varie forme, si va estendendo in Europa senza traumi, con una crescente accettazione sociale e con una attribuzione di diritti sempre più larga, fino a consentire anche la possibilità di adottare figli.
Danimarca, Svezia, Olanda, Francia, Belgio, Germania costituiscono un´area quantitativamente e culturalmente così significativa e diversificata da rendere non più possibile il ricorso all´argomento che voleva ridurre quella novità ad una eccezione circoscritta a pochi Paesi "permissivi", dunque non destinata a guadagnare altri consensi ed altri territori.
E´ probabile che sia stata proprio questa constatazione all´origine del documento, al quale il cardinale Ratzinger ha dato poi l´aggressività tipica della sua prosa. Di fronte ad un fenomeno dilagante bisognava erigere una barricata. Un muro invalicabile, senza crepe. Si è voluto ribadire, con toni ultimativi, che qui neppure una parvenza di dialogo è ammissibile.
Nel legittimo esercizio del suo magistero la Chiesa decide di chiudersi al mondo, e perciò finisce con lo schiacciare gli omosessuali con una condanna senza appello, rischiando così di travolgere pure l´esile rispetto per la condizione omosessuale legato all´invito a viverla in castità.
Il contrasto tra la posizione vaticana e l´evoluzione del quadro internazionale dei diritti fondamentali delle persone è reso più visibile da alcune singolari coincidenze. Il documento Ratzinger è del 31 luglio.
Poco più di un mese prima, il 26 giugno, una storica decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti ha dichiarato incostituzionale una legge del Texas che puniva come reato anche gli atti omosessuali tra adulti consenzienti, aprendo non solo la strada alla cancellazione di norme analoghe ancora vigenti in altri stati americani, ma soprattutto riaprendo la discussione proprio sui matrimoni gay, ai quali lo stesso Bush vuole sbarrare la strada. In luglio, la Corte d´appello dell´Ontario ha dichiarato incostituzionali le norme canadesi contro le unioni gay, rendendole così possibili e invitando il governo ad introdurre il "matrimonio tra individui". E, riferimento per noi ancor più significativo, grazie al via libera di una sentenza della Corte costituzionale in Germania sono state respinte le eccezioni contro la legge sulle unioni tra partner dello stesso sesso.
Qui cade la seconda riflessione, obbligata, di carattere europeo, che ci porta alla Carta dei diritti fondamentali dell´Unione europea, "solennemente proclamata" a Nizza nel dicembre del 2001 ed ora inserita nel progetto di Trattato costituzionale. L´articolo 21 della Carta afferma che "è vietata qualsiasi forma di discriminazione" fondata – oltre che sul sesso, la razza, la religione, la lingua, le opinioni, il patrimonio, l´handicap, le caratteristiche genetiche – appunto sulle "tendenze sessuali". Questa affermazione, peraltro, non è nuova. Era già contenuta nei Trattati, anche se qualche sprovveduto nostro parlamentare non se ne era accorto, sì che la citò come una novità che testimoniava dell´immoralità della Carta dei diritti.
Ancor più importante è l´articolo 9 della Carta: "Il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l´esercizio". Perché si è introdotta la distinzione tra "il diritto di sposarsi" e quello "di costituire una famiglia"? Proprio per consentire la costituzione legale di unioni distinte da quelle tra persone di diverso sesso, dunque anche quelle tra omosessuali. Lo dicono con assoluta chiarezza le note esplicative della Carta, prive di valore giuridico, ma che in questo caso rispecchiano fedelmente la discussione che si svolse nella Convenzione: "l´articolo non vieta né impone la concessione dello statuto matrimoniale a unioni tra persone dello stesso sesso".
La conclusione è evidente. Nel quadro costituzionale europeo esistono ormai due categorie di unioni destinate a regolare i rapporti di vita tra le persone. Due categorie che hanno analoga rilevanza giuridica, e dunque medesima dignità: sì che non è più possibile sostenere che esiste un principio riconosciuto – quello del tradizionale matrimonio tra eterosessuali – ed una eccezione (eventualmente) tollerata – quella delle unioni omosessuali.
Queste ultime, dunque, sono giuridicamente legittime, ed il legislatore nazionale, riconoscendole, non viola alcun principio costituzionale. La violazione, al contrario, si avrebbe se si invocasse una invalicabile ragione di principio per negarne la legittimità e la rilevanza.
Qui può nascere un "conflitto di lealtà" per i parlamentari cattolici ai quali è indirizzato, con particolare veemenza, il documento vaticano. Seguire l´imperativo vaticano o aprirsi ad una richiesta dei cittadini che ora ha un solido fondamento costituzionale europeo? Non è questione da poco, poiché non si discute soltanto della laicità dello Stato, ma del modo in cui ciascun parlamentare interpreta il suo rapporto con una società che conosce la diversità come valore, con norme esplicite. Di nuovo la Carta dei diritti, articolo 22, sul rispetto della "diversità culturale, religiosa e linguistica". E, se leggiamo questa norma insieme con quella sul divieto di discriminazioni, ne ricaviamo un forte ed esplicito principio di riconoscimento dell´"altro", chiunque esso sia, al quale non possiamo imporre le nostre convinzioni, mortificandone la condizione umana.

Stefano Rodotà

Stefano Rodotà (1933-2017) è stato professore emerito di Diritto civile all’Università di Roma “La Sapienza”. Ha insegnato in molte università straniere ed è stato parlamentare in Italia e in Europa. …