Il doppio esilio di Edward Said

26 Settembre 2003
Ci sono talvolta delle perdite che alla drammaticità degli eventi sommano il sentimento di una sconfitta, di un´oscurità che soverchia quanto rimane; e sembra che la storia stessa paralizzi ogni speranza. 
Edward Said è morto ieri in un ospedale di New York; era malato da anni di leucemia. Intellettuale di confine, spaziava dalla storia alla letteratura, dalla filosofia alla musica; ha scritto tra l´altro pagine memorabili su Vico e Gramsci. La sua vita si confonde con il destino di un popolo, quello palestinese, di un angolo del mondo, Israele e la Palestina. E´ stato un acuto osservatore delle società arabe e dell´Occidente, poiché viveva negli Stati Uniti dove per anni ha insegnato Letteratura comparata presso la Columbia University di New York. Edward Said muore mentre il pianeta è attraversato dal gusto amaro di un conflitto di civiltà: una teoria che lui stesso aveva contestato dopo l´11 settembre sulle pagine del New York Times e di Le Monde. 
La sua vita si confonde con la storia del Medio Oriente. Nel 1922 la Società delle Nazioni aveva assegnato il mandato sulla Palestina alla corona britannica, definendo il suo compito come "sacra missione di civilizzazione". Said nacque a Gerusalemme nel 1935, e la sua vita fu segnata dalla nascita del conflitto israelo-palestinese: si trasferì in Egitto con la famiglia, per emigrare in seguito negli Stati Uniti. Vivere oltre oceano implicò per lui l´emarginare la sua lingua materna, l´arabo, in una situazione di dualismo e lacerazione. Ha consegnato tutte le vicende della sua vita in una bellissima autobiografia dal titolo Out of Place, pubblicata a New York nel 2000 (tradotta in italiano da Feltrinelli con il titolo Sempre nel posto sbagliato), in cui scrive: «La cosa più importante per me, come autore, era il sentimento permanente di cercare di tradurre delle esperienze vissute non solo in un contesto lontano ma anche in una lingua differente. Tutti vivono la propria vita in una data lingua; l´esperienza di ciascuno si svolge, è assorbita e memorizzata in quella lingua. La lacerazione fondamentale nella mia vita è quella che separa l´arabo, la mia lingua materna, dall´inglese, la mia lingua scolastica e, in seguito, la mia lingua d´espressione in quanto universitario e professore. Così, cercare di scrivere in una lingua per raccontare una storia vissuta in un´altra lingua – senza contare i numerosi mescolamenti e passaggi che per me si creavano fra quelle due lingue – era un´impresa complicata».
In alcune pagine toccanti parla di un mondo che non c´è più e che non tornerà mai più. Storia di una peregrinazione, di una lacerazione interiore, di un doppio esilio, la riflessione di Edward Said è una riflessione sul sé, che finisce per assorbire la vasta moltitudine di identità che si trasformano in popoli nel Medio Oriente, in quell´Oriente il cui concetto egli contestava. Ebbe notorietà in Europa soprattutto agli inizi degli anni ´80, grazie al suo famoso saggio Orientalism (Orientalismo, Feltrinelli), in cui contestava la categoria dell´Oriente e gli stessi orientalisti. Per lui l´Oriente rappresentava una categoria dell´immaginario; l´orientalismo era uno strumento di quell´immaginario, che poteva definire anche i rapporti di forza e gli strumenti di controllo. Il dibattito sollevato da Edward Said fu acceso: un grande orientalista, Maxime Rodinson, rispose con un saggio dal titolo La fascination de l´islam, in cui non contestava realmente Said, ma metteva in evidenza come grazie all´orientalismo si fosse salvato dall´oblio e dalla distruzione un vasto patrimonio di memorie storiche. 
Edward Said ha continuato nella decostruzione dell´idea di Oriente, evidenziando come i modelli culturali veicolino forme e rappresentazioni: ad esempio nel suo saggio Culture and Imperialism (Cultura e imperialismo, Gamberetti). Per gli studiosi di quel mondo che come me da esso provengono, la riflessione di Edward Said è importante anche perché ha evidenziato che la difficoltà di conoscere e studiare le società arabe proviene sia dalle loro condizioni che dalle molteplici trasformazioni che quelle società stanno vivendo, come pure dalla percezione che di esse si ha. Secondo Edward Said, infatti, la storia si situa al centro di una serie di rivalità in cui convergono poste in gioco identitarie, politiche e simboliche. I lavori di Edward Said definiscono luoghi e memorie, in cui procedure di occultamento, conflitti interpretativi, questioni dell´alterità sono altrettanti spazi in cui lo storico esercita il suo mestiere ma anche promuove memorie che rischiano di essere dimenticate o emarginate. C´è una trama essenziale negli interventi di Edward Said: è quella di definire un popolo, di dire come un popolo approdi alla propria storia, come la formuli. L´identità palestinese fu il suo leit-motiv: un´identità ferita, travagliata, dai molteplici occultamenti sia da parte araba che da parte occidentale. 
Il suo impegno fu anche politico oltre che intellettuale, anche se molto critico verso la dirigenza palestinese: agire politicamente per lui significava prolungare la riflessione e confrontarsi con la realtà. Questo conduce talvolta l´intellettuale alla perdita della sua distanza critica: ma egli era un intellettuale impegnato nel senso di Jean-Paul Sartre. Ha contribuito a definire ciò che comunque rimane un mistero per le scienze sociali: che cos´è un popolo. Con lui se ne va un po´ di quell´identità palestinese che lui stesso aveva contribuito a formulare con i suoi lavori, nell´osservare le società arabe. Addio a Edward Said.

Edward W. Said

Edward W. Said è nato nel 1935 a Gerusalemme ed è morto a New York il 25 settembre 2003. Esiliato da adolescente in Egitto e poi negli Stati Uniti, è …