Giorgio Bocca: Le cicale del Belpaese

02 Ottobre 2003
Come è accaduto il grande blackout? In un modo che sembra immaginato da un antimodernista alla Ceronetti, irridente, paradossale. Una raffica di vento piega un vecchio abete su una montagna della Svizzera tedesca, un grosso ramo tocca i cavi dell' alta tensione, parte una scarica elettrica che incendia l' albero ma la pioggia in breve spegne il fuoco. Il comandante dei vigili del fuoco di Seewen arriva alle 4 e 05 del mattino al tronco carbonizzato a 900 metri di quota. I tralicci della linea elettrica sono intatti ma lo sbalzo di tensione si è propagato attraverso il Gottardo al Canton Ticino e all' Italia intera. Le nostre centrali alpine sono ferme e non possono intervenire perché noi italiani siamo i più furbi di Europa, di notte spegniamo i nostri impianti e importiamo corrente dalla Francia e dalla Svizzera, perché costa di meno. Comunque tutti d' accordo, francesi e svizzeri e italiani a dire che la colpa non è del vecchio abete, ma della nostra rete di distribuzione che, more solito, sarebbe accettabile al Nord e disastrata al Sud. Nessuna sospensione a Trieste, poche ore a Milano e a Torino, un' intera giornata a Bari e a Palermo. Sullo stato mediocre e pessimo della rete tutti i nostri dirigenti e responsabili sono d' accordo, ma per tutti vale la giustificazione del gestore Carlo Andrea Bollino: «Abbiamo fatto tutto quello che potevamo nelle nostre condizioni». Che sarebbe come se un paralitico dicesse: «Mi sono mosso come permettono le mie gambe». E che diranno le inchieste italiane ed europee? Niente. «Negli Usa - dice il gestore - non sanno ancora cosa è successo il 15 agosto scorso». Nel giorno del grande blackout il ministro delle grandi opere Lunardi in una trasmissione televisiva pomeridiana assicurava gli italiani che il programma, compreso il ponte sullo Stretto di Messina, rispettava e anticipava i tempi. Il ponte sullo Stretto, si farà, le reti elettriche, idriche, sanitarie stradali ferroviarie a quante altre andranno a consumo o a rattoppi. Il problema della manutenzione del Paese non esiste per i nostri governi, presenti e passati, esistono solo gli irrimandabili interessi elettorali e il tappare i buchi. Su tutti i giornali si legge che, una delle colpe del blackout sta nella rinuncia radicale del nucleare. Addebitabile in massima parte a Bettino Craxi, lo statista moderno e al suo consigliere Martelli. Costui reduce da un viaggio in Germania riferì sulla «onda verde» ambientalista che montava l' affossamento totale del nucleare avrebbe fatto guadagnare ai socialisti una caterva di voti. Se ne parlava in quei giorni con Umberto Colombo direttore dell' Enea e con i dirigenti dell' Enel, tutti d' accordo nel pensare che chiudere definitivamente la porta del nucleare era un errore e che lo avremmo pagato nel futuro, ma l' interesse elettorale vinceva tutti gli ostacoli, chiudeva tutte le bocche. Le ideologie o, se preferite, le mode applicate alla politica sono spesso disastrose quanto irresistibili. L' Inghilterra ha rovinato la sua rete ferroviaria con le privatizzazioni caotiche, la California resta al buio per la concorrenza fra i fornitori di energia e noi rinunciamo a un controllo unico e responsabile perché la parola d' ordine, la parola magica è privatizzare. Ma privatizzare o nazionalizzare magiche di per sé non sono, bisogna vedere come le si mette in pratica, se sono compatibili fra di loro, se c' è qualcuno, qualcosa in grado di correggerne gli errori, di comporne i contrasti. Il nostro Federico Rampini ha segnalato le anomalie del blackout italiano rispetto a quelle di altri paesi avanzati: è avvenuto nelle ore di consumo minimo, si è propagato in tutto il paese, è stato causato dalle importazioni. è vero, questi sono i segnali della fragilità del nostro sistema, ma i rischi di una modernità sempre più complessa e incontrollabile sono ormai evidenti in tutti i campi: le comunicazioni del tipo Internet alla mercé dei pirati come degli speculatori, e dei viziosi, gli armamenti sempre più potenti con la pace appesa a un filo, l' inquinamento del pianeta inarrestabile. In questo contesto il paese Italia si comporta come una cicala spensierata che tira a campare e continua ad accumulare le sue arretratezze, le sue discariche, i suoi veleni. Lo stato penoso della rete elettrica non è un' anomalia ma una regola e quasi sempre il rimedio consiste nel rimandare il problema o nel giocare a scaricabarile come è avvenuto anche in questa occasione. Il già citato gestore della rete elettrica Carlo Andrea Bollino a chi gli ha chiesto quali sono i punti deboli del sistema ha risposto: «Filosoficamente, per dirla con Kant e Pascal, ce ne sono, ma ci stiamo attrezzando per migliorare». Penose le polemiche fra maggioranza e opposizione: il ministro Marzano che prima di spiegare l' accaduto accusa la sinistra di bloccare la riforma elettrica o gli esponenti dell' opposizione che automaticamente sparano sul governo di oggi per colpe che sono anche di quelli precedenti e dell' intero Paese. Le cicale imprevidenti muoiono, come racconta La Fontaine, quando arriva il gelo ma il paese cicala tira avanti convinto che in un modo o nell' altro le cose si aggiusteranno da sole. Non è così, i danni del malgoverno generale, dei governanti come dei sudditi, sono sempre più di frequente irreparabili. L' abbattimento o la regolarizzazione degli abusi urbanistici è a questo punto irrimediabile, i Comuni, le pubbliche amministrazioni non hanno i soldi né per cancellarli né per metterci ordine. A Selinunte, come a Napoli, a Catania come sulla riviera ligure le case da abbattere o da regolarizzare sono innumerevoli, più forti di tutte le ordinanze municipali o governative; si è rinunciato alla bonifica del bacino del Lambro, premessa della bonifica padana, perché i terreni sono inquinati fino a dieci metri di profondità, la cementificazione del territorio continua, le terre fra Milano e Novara sono coperte dal cemento dell' aeroporto della Malpensa e della Fiera campionaria, per la maggior gloria dei politici in cerca di voti e dei sindacalisti in cerca di tesserati. Ne abbiamo passate di peggio, si dice. Certo abbiamo conosciuto guerre di distruzione, carestie, epidemie, tutte le piaghe e le punizioni della natura matrigna e degli dèi impietosi. Ma forse stiamo conoscendo qualcosa di peggio: l' imprevedibilità e l' ingovernabilità del mondo in cui viviamo e in cui vivranno i nostri figli: i cambiamenti incessanti e troppo rapidi, le locomotive del progresso, enormi, potentissime che corrono verso non si sa dove con le nostre piccole carrozze al seguito, gli spazi sempre più stretti e l' oscuro sentimento che queste prove generali dell' apocalisse potrebbero finire in apocalisse.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …