Paolo Rumiz: Viaggio tra i sikh adottati dalla Padania

08 Ottobre 2003
Mantova - Turbanti. Gialli, rossi, blu. Li vedi appena sali sull´argine del Po. Punteggiano i campi, sbucano dalle fattorie, vanno e vengono nel tramonto. Sono l´unica cosa colorata che si muove nella pianura bruciata dalla sete. Segnalano i sikh, i leggendari indiani dalle lunghe barbe e dai lunghi pugnali che ieri popolavano i racconti di Salgari. Oggi gli stessi uomini abitano le nostre campagne, mungono le nostre vacche, fanno funzionare le nostre stalle, sono il pilastro del nostro agroalimentare. Ne disegnano persino il paesaggio, ne determinano la lingua. Il grana sarà anche padano doc, ma oggi parla sikh. Come il parmigiano, il latte e il burro di casa nostra.
Grilli, motorini nella bruma, tanfo di letame. Il viaggio nei popoli del made in Italy - mentre si infiamma il dibattito sul loro diritto al voto nelle elezioni amministrative - comincia qui, dall´argine di Borgoforte. Da quassù le luci della pianura ridisegnano la geografia, ormai etnica, di un Paese che ha perso l´uso delle mani. A Nord, la metallurgia bresciana con pachistani e senegalesi. A Sud, verso Maranello, patria delle Ferrari, la macellazione dei maiali con i giganti del Ghana. A sudest, verso Carpi, i cinesi nei laboratori del tessile. Qui, sul fiume, tra milioni di vacche, i sikh dalle lunghe barbe, a migliaia. Oggi, l´Italia dei distretti è un labirinto dove si sovrappongono campanili, mestieri e tribù.
E´ blu notte il turbante attorno alle tempie di Paramjit Singh, 31 anni, occhi e barba neri come l´antracite. E´ mungitore nell´azienda Balzanelli, 380 vacche frisone italiane, persa tra i canali di bonifica della Bassa Mantovana. Sono le 18.30, il turno del pomeriggio è alla fine, l´uomo fa entrare le ultime sedici manze, le parcheggia a pettine, scende in una trincea piastrellata tra due file di zoccoli, cosce, culi, code e mammelle gonfie, avvia il lavaggio con la precisione di un medico, fa schizzare il primo latte dai capezzoli, aggancia la ventosa che lo aspira, tira una cordicella per mettere in moto la pompa, ripete l´operazione sedici volte.
In Padania il nostro sikh ci sta a meraviglia. Vi abita da dieci anni, vi ha trasferito la moglie, vi ha fatto nascere due figli. E´ come casa sua, il Punjab, la terra dei cinque fiumi divisa tra India e Pakistan. Stesse acque fangose, stesse grandi montagne all´orizzonte, stessa campagna infinita, stesse vacche, stessa fertilità leggendaria. Da quest´anno, anche lo stesso calore infernale. Due mondi che si somigliano anche nella malattia del lavoro. Come i lumbard, spiega Paramjit, anche i punjabi sono degli sgobboni convinti di dare tanto e di avere pochissimo in cambio. Un leghismo in salsa curry.
Ma forse è la Padania stessa che diventa India, da qualche tempo. Per esempio, sono arrivate le bufale. Da quando le mucche sono diventate troppe per via delle quote latte, i lumbard - che non sono pirla - hanno cominciato a mungere bufale, che non soffrono di limitazioni Ue. Così hanno importato bestie a migliaia, anche dall´Asia. E fa niente se gli inverni padani sono freddi. Basta costruire hangar riscaldati. Così hanno gonfiato degli enormi palloni. E oggi vedi a distanza l´ombra delle loro cupole nella pianura cosparsa di luci. Astronavi, con dentro grassi bovini E.T. color grigio plastilina.
Annotta, c´è un fiume luminoso di auto che va verso Mantova all´ora dello struscio. Ne senti il rumore a distanza. Nella pianura degli alieni, tutto si è capovolto. Oggi la riserva indiana è la città italica dalle torri merlate, con le logge in mattoni e la razza padrona che sfoggia auto di lusso, ragazze bionde e cene al lume di candela. L´uomo dal turbante blu lo sa perfettamente. Senza il suo popolo, quella pacchia finirebbe, il cuore del nostro sistema agroalimentare cesserebbe di battere. Sa che agli italiani, oggi, la merda di vacca fa schifo.
Il padrone dell´azienda, Alfredo Balzanelli, paga bene Paramjit, duemila euro al mese, più alloggio in fattoria. Gli vuole anche un gran bene. E´ stato in visita al tempio sikh, gli ha quasi adottato il figlio maggiore, aiutandolo a fare i compiti e a inserirsi a scuola. "Con gli indiani - spiega - mi sono sempre trovato ok, è gente colta, paziente, risparmiatrice, precisa". Anche le mucche sono contente. Fanno più latte. In India, si sa, la vacca è sacra, sta quasi in famiglia. Muore di vecchiaia anche se è zoppa e non dà più latte.
Paramjit vive assediato da filetti e culatelli, ma è religiosamente vegetariano. Mi invita a casa sua per la cena, la moglie Kukwinder cuoce vari tipi di riso, scodella insalate, mostra come si fa lo spezzatino con il latte, facendo coagulare il liquido con un goccio di aceto. L´erede, Kamalpreet, 9 anni, fa gli ultimi compiti. La piccola Tarnjit Kaur, tre mesi, ride nella culla. La tv satellitare trasmette a basso volume film in lingua Hindi, ma Paramjit, quando parla di terreni, li misura in "biolche" (un terzo di ettaro) da vero mantovano. Sopra la credenza, le foto di famiglia, ma anche quella dei capostipiti Balzanelli.
Al mattino il signor Singh si sveglia alle due (deve svegliare la mandria per la prima mungitura) ma di giorno non ha sonno. Nel tempo libero non dorme; aiuta i fratelli sikh a regolarizzare la loro posizione, costruisce la sua rete di contatti. Va a Milano, talvolta a Londra ad acquistare stoffe indiane. La sua vocazione, come tanti della sua origine, è il commercio. Vorrebbe che la moglie entrasse nel business della vendita al dettaglio. Per questo risparmia, come una formica, e il suo principale è certo che ce la farà. In fondo, i mungitori di ieri sono diventati miliardari, hanno le loro fabbriche. Venivano dalle valli di Bergamo, che un secolo fa mangiavano polenta e niente. Perché non dovrebbe succedere ai sikh?
Come siano arrivati qui gli uomini dalle lunghe barbe, nessuno sa di preciso. Ma corre voce che la catena migratoria sia iniziata con il circo Togni, che voleva solo lavoranti sikh o indù per la pulitura delle bestie. Successe perché il vecchio Togni, bresciano, era anche di origine zingara. Per essere precisi, era un sinti, uno dei rom di provenienza indiana che in Italia hanno sempre fatto i giostrai. Assumeva indiani per la stagione, poi a fine contratto li mollava nelle stalle della Bassa. Così è iniziata la catena migratoria, e il Globale ha fatto il nido nel Locale.
Oggi i sikh sono almeno ventimila, senza contare mogli e figli, nel solo quadrilatero tra Verona, Brescia, Parma e Reggio Emilia. E poiché sono pure religiosi, hanno costruito i loro templi. Cinque. Uno grande a Novellara, in provincia di Reggio, uno appena inaugurato presso Casalmaggiore, gli altri nelle provincie vicine. La domenica indossano il turbante arancione e vanno alle loro funzioni. Le donne in sari colorati e gioielli alle caviglie portano frittelle da casa, i fedeli mangiano sui tappeti prima ascoltare i loro guru con un´attenzione sconosciuta nelle nostre chiese. Chiamati in Europa dal dio profitto, circondati dalle cattedrali del consumo, senti che riempiono un vuoto che non è solo di manodopera, ma anche di senso comunitario, fede, ritualità, canto.
A Novellara arrivano in allegria con le loro auto e i loro telefonini, levano le scarpe, si mettono in fila, ti danno i loro opuscoli con scene tremende di martirologi e capisci perché in Europa ci stanno bene. Non è solo che lavorano. E´ che in Asia li hanno sempre perseguitati, per il loro essere un´élite a mezza strada tra Islam e Induismo. Qui no, all´industria del mangiare gli va benissimo che preghino. Quei raduni tra fiori gialli e nenie quasi gregoriane svolgono un sacco di funzioni. Luogo di scambio, scuola di inserimento sociale, ufficio di collocamento, centro di mutuo soccorso, asilo nido. Un momento insostituibile, prima che il popolo delle lunghe barbe torni a disperdersi nella pianura.

Paolo Rumiz

Paolo Rumiz, triestino, è scrittore e viaggiatore. Con Feltrinelli ha pubblicato La secessione leggera (2001), Tre uomini in bicicletta (con Francesco Altan; 2002), È Oriente (2003), La leggenda dei monti …

La cattura

La cattura

di Salvo Palazzolo, Maurizio de Lucia