Giorgio Bocca: La sinistra non può attendere

21 Novembre 2003
Come si spiega la rassegnazione degli italiani al regime berlusconiano? Ci sono parecchie risposte. La prima e la più semplice è la tradizione trasformistica italiana, il "Francia o Spagna purché se magna". Qualcosa che evidentemente sta nel nostro sangue, nelle memorie. Il passaggio della maggior parte dei giornali e delle televisioni al nuovo potere è stato opera dei padroni che vedevano in Berlusconi "uno dei loro", ma anche una svolta spontanea dei giornalisti, specie dei più importanti e più legati agli editori. Costoro hanno creato da sé, senza bisogno di suggeritori, una sorta di loggia massonica, di cosca mafiosa che ha guidato la manovra. Non casualmente ma con rapporti continui e continue consultazioni telefoniche. Nel giro di pochi mesi si è creata nei giornali e nelle televisioni una nuova egemonia culturale che consiste non in una nuova cultura ma nell’emarginazione della precedente, in una sorta di mediocre limbo culturale, in cui l’unico valore decisivo resta quello del denaro. Dell’audience pubblicitaria.
Io però farei risalire la rassegnazione italiana anche a cause generali che investono il mondo intero e che hanno reso possibile che uno come Berlusconi sia al governo.
La dissoluzione del comunismo ha ridato vigore e arroganza a un capitalismo radicale che si occupa unicamente di aumentare i profitti e ignora i grandi problemi del mondo, la miseria, la distruzione dell’ambiente, la sete, lo schiavismo. Per un quinto dell’umanità ci sono risorse sufficienti, gli altri si aggiustino. Un’antropologia apocalittica, la definisce Raniero La Valle. Libero mercato, libero commercio e una sola superpotenza militare che crede di poter dominare il mondo con la forza. Che modello è? Come possono gli altri adeguarsi? E il principio di Bush che "il tenore di vita degli Stati Uniti è fuori discussione"? Nessun satrapo del passato osò teorizzare in questo modo il suo dominio. Quali effetti hanno avuto da noi questi grandi mutamenti? La scomparsa o l’emarginazione della classe operaia, cioè l’unico strumento di un riformismo reale, la scomparsa della politica, di un partito di sinistra ma anche di uno di destra. La politica economica sostituita dal monetarismo europeo, la politica estera che nel caso italiano è diventata occasionalismo, un saltare sul carro che al momento sembra vincente.
Delle tre grandi novità del pianeta non si conoscono i contenuti reali e non si sa che effetti avranno nel tempo breve e in quello lungo. Il globalismo economico è un vantaggio per tutti o una fonte di disastri per molti? Il governo affidato alla forza militare funziona o crea nuovo terrorismo? La politica del bluff delle grandi opere, delle finte promesse fiscali dove conduce? L’occasionalismo è anche il valore o disvalore preminente della politica nostrana: tutti pensano alle loro occasioni personali, alla loro probabilità di occupare un posto di comando. Non si fa in tempo a presentare una proposta come quella di Prodi di unificazione della sinistra e già tutti i leader pensano a che ne sarà di loro e dei loro amici.
L’anarchia mondiale è un dato di fatto, la mancanza di una forza egemonica convincente anche. Ne deriva una sorta di rassegnazione globale a mutamenti che la tecnologia moderna ha reso rapidissimi. Il disprezzo e la noncuranza per le leggi e per i valori morali è dominante nella pratica e nell’informazione: l’affarista Craxi preferito al moralista Berlinguer è in atto persino fra gli eredi del Pci. Ma al di fuori di una riforma morale, al di fuori di un ritorno ai comandamenti della civile coesistenza non si vede rimedio.
Penso che l’unificazione dei partiti della sinistra e la formazione di un grande Ulivo sia da preferire alla tecnica delle liste numerose. La creazione di un grande Ulivo è qualcosa di più di una tecnica elettorale, è il segno che è possibile creare una maggioranza in grado di governare il paese o comunque di tentare di governarlo nel caos universale. L’uso di nuove tecniche nella selezione e nella presentazione di candidati sarà certo importante, ma penso che l’arma più efficace sia la semplificazione, decidere sulla leadership di Prodi come l’unica vincente e mettere in moto, come nel ’94, la valanga dei consensi.
E per quanto riguarda i movimenti, i girotondi, i no global, mi pare che siano attualissimi e non rinunciabili. Che altra opposizione c’è al dominio dei potenti nel commercio mondiale? Alla guerra continua?

Uno che ha conosciuto la Resistenza non avrebbe mai creduto possibile che a sessant’anni di distanza si sarebbero ripetute le discussioni e le delusioni dell’attendismo, del neutralismo delle "zone grigie". Lo stesso gruppo di giornalisti e di intellettuali che ha gestito la svolta pro Berlusconi, è quello che propaganda il terzismo, l’attendismo, lo stare alla finestra, l’aspettare che i problemi – compreso quello del regime – si risolvano da sé. Nella loro condotta, nelle loro scelte c’è una conseguenza degna di miglior causa: combattono la vecchia egemonia culturale progressista, giustificano il ritorno dei fascisti al governo, sopportano persino il localismo becero della Lega purché i loro interessi di mediatori e di azzeccagarbugli sopravvivano.
Ignorare Berlusconi? Lo scempio che sta facendo delle istituzioni? Sarebbe come ignorare che il nemico della democrazia è non solo alle porte, ma dentro casa. È chiaro che agli attendisti piaccia l’ignoranza e la rozzezza di Berlusconi: è la via migliore per la formazione di un regime conservatore, senza il minimo rischio. Ma si sbagliano in una cosa fondamentale: non basta ignorare Berlusconi, perché Berlusconi non ignora i suoi avversari anche se tacciono, muove metodicamente alla distruzione del vecchio Stato di diritto, parlino o meno coloro che lo hanno formato e che lo difendono.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …