Gabriele Romagnoli: Il sentimento di terrore che il fatalismo annulla

05 Dicembre 2003
C´è quest´uomo che incontro spesso in una palestra nel centro storico di Beirut. E´ un alto funzionario della Banca centrale libanese. Come tutti qui, ama raccontare i tempi della guerra civile. Dice che il suo ufficio era nella parte occidentale della città, l´abitazione in quella orientale. Andare dall´una all´altra rappresentava una scommessa, spesso mortale. La banca aveva attrezzato stanze dormitorio, ma lui preferiva prendere l´auto e viaggiare verso casa. Per farlo doveva passare ogni sera sotto un ponte sul quale si appostavano i cecchini. Senza prevedibilità alcuna, quelli sparavano.
"Perché insisteva a correre quel rischio? ? gli ho domandato ? Non aveva paura?".
Mi ha guardato con sincero stupore e una punta di compassione. Ha risposto: "Non c´è niente di cui avere paura, le cose succedono quando è il loro momento. Ognuno ha il suo giorno per morire e fino a quella data non rischia. Poi, quando arriva, niente lo può salvare".
Il suo modo di pensare è diffuso in Medio Oriente. La paura è un concetto che non esiste e se affiora viene respinto. Sul sito Islamonline.net, a uno studente che gli chiedeva che cosa fosse e che effetti avesse, un professore di studi islamici ha risposto: "Avendo paura imprigioniamo l´organo che ci consente l´equilibrio, il cuore. Lo impregniamo di sfiducia e di ridicolo, atrofizzando la parte migliore di noi. Non dobbiamo avere paura. Di più: non possiamo, perché il destino è già deciso e possiamo solo rimetterci ad esso".
Gli antidoti che cancellano la paura sono tre: la fede religiosa, il fatalismo e la convivenza quotidiana con il pericolo.
Con fede si intende principalmente, ma non esclusivamente, quella musulmana. Nell´Islam l´ignoto non spaventa, perché è noto alla volontà divina, quindi è la cosa migliore per l´uomo che gli va incontro. Qassem, uno dei fondatori di Hezbollah, movimento religioso e combattente del Libano, ha detto: "La data della nostra morte viene scritta da Dio e registrata dagli angeli. Accade quando è dovuta. Uno può starsene nascosto in cantina, attraversare la strada o andare a combattere. Nessuna di queste azioni può ritardare o anticipare la sua fine: muore quando è il suo momento. Questo vale anche per i martiri: scelgono soltanto il modo in cui morire, il tempo era già destinato. Per questo non hanno paura". Ed è vero: basta guardare i videomessaggi che lasciano prima di suicidarsi. Sono sereni. Lo erano gli uomini del commando dell´11 settembre. Lo era, perfino, la giovane Sanaa, la cui fine era stata "pre-scritta" a soli 17 anni, quando, all´inizio degli Anni Ottanta, si fece esplodere lasciando un nastro in cui paragonava il giorno della sua morte a quello di un matrimonio con il destino. Come può avere paura chi crede che tutto sia ineluttabile? Un discusso passo del Corano afferma: "Instilleremo il terrore nei cuori dei non credenti". Qualcuno l´ha interpretato come una profezia minacciosa che va avverandosi. In realtà si lega a una battaglia persa dai guerrieri di Maometto, che avrebbero potuto essere annientati se i nemici non avessero avuto timore di infierire: Dio, si sostiene, mise la paura nelle loro anime per proteggere i suoi fedeli. Ma chi crede non conoscerà mai quella sensazione. Vale anche per chi ha una fede diversa dall´Islam. Qui la religione è tutto. Scaccia la logica e apre la porta al fatalismo.
Come al funzionario della Banca centrale non veniva in mente di evitare il ponte dei cecchini, nessuno mai penserebbe di stare alla larga dalle zone dove si trovano i Mc Donald´s per timore dei minacciati attentati anti americani. Pensano: "Se qualcosa deve accadere, accadrà quando e dove è dovuto". Non esistono probabilità più o meno alte, esiste un solo possibile destino: allora perché allarmarsi? Si può tentare di attraversare il mare su una bagnarola per arrivare in Europa, perché il naufragio non è un rischio, non nella maniera in cui l´intendiamo noi. Se qualcuno annega, significa che sarebbe morto anche restando nel suo villaggio, in quell´esatto momento. Se una madre perde tre figli in combattimento, non maledice la guerra, perché pensa che sarebbe successo comunque. E se anche il quarto figlio decide di arruolarsi, ne accetta la volontà perché riflesso di una più grande, che ne ha già stabilito la sorte. Poi non dirà: "Me li hanno portati via tutti", ma "Sono tornati insieme". Al fondo di questo atteggiamento c´è un misto di speranza e disperazione. Sostituisce la paura e ha per fattore ultimo l´abitudine a convivere con avvenimenti violenti e con la sofferenza che ne deriva. Quello che per noi in Occidente è l´eccezione, qui è la regola. E non si può avere paura per sempre e per tutto. Il trauma di New York è nato dalla sgomento della prima, imprevista, volta. Città come Beirut e Bagdad hanno una "ground zero" al posto del cuore. La gente racconta che, durante la guerra civile, un palazzo veniva sventrato al mattino e al pomeriggio, mentre ancora le ambulanze raccattavano cadaveri, i negozi accanto riaprivano, gli ambulanti parcheggiavano di fronte i loro carretti e strillavano i nomi delle merci, nel caffè gli uomini fumavano lenti guardando le macerie e parlando d´altro. E´ una forma di esorcismo così necessaria e potente da essere penetrata nel Dna di interi popoli.
Ho scritto questo articolo su un aereo che volava da Beirut a Parigi. Al momento del decollo ho notato che due passeggeri si sono fatti il segno della croce e poi si sono avvinghiati ai braccioli delle poltrone. In seguito li ho sentiti parlare: uno era francese, l´altro italiano. Qualche musulmano ha pregato, ma nell´ora stabilita, mentre eravamo tranquillamente in alta quota e nessuno più aveva paura.

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …