Giorgio Bocca: Il comizio a Montecitorio

01 Aprile 2004
I leghisti occupano la Camera dei deputati e inveiscono contro Roma ladrona. Tumulti, espulsioni, tafferugli, onorevoli indignati e onorevoli e magari ministri come Giulio Tremonti che sorridono agli eversori, onorevoli sospesi che si imbavagliano, onorevoli della Lega che danno del fascista al vicepresidente della Camera Fiori, onorevoli varesotti o bergamaschi che alzano cartelli su cui sta scritto "Mai molè. Tegn dur". Come la definiamo questa gazzarra? "Squadrismo fascista antiparlamentare", dice il capogruppo della Margherita Pierluigi Castagnetti o "una deprecabile intemperanza verbale" come corregge il vicepremier in doppiopetto Gianfranco Fini. Diciamo più semplicemente un esempio di una campagna elettorale di bassissimo livello dove tutti cercano di apparire anche a costo di contraddirsi in modo plateale, demagogico, scombinato.
Materia del contendere? La vendita di edifici pubblici o cartolarizzazione come la chiamano che fa parte dell'assalto allo Stato e ai suoi beni perseguito con metodo e tenacia dall'attuale governo. Dicono bene i leghisti quando definiscono questo un provvedimento pessimo, ma fanno della demagogia nordista quando ne parlano come di "un regalo a Roma ladrona e sprecona, un regalo alle lobby romane".
Il sottogoverno che si pratica a Roma è, come tutti sanno un sottogoverno nazionale a cui partecipano i palazzinari e gli affaristi di tutte le Regioni. Sono milanesi quelli che nel giro di due anni hanno messo assieme un gigantesco "real estate" immobiliare, emiliani gli altri che fanno fortuna sulle grandi opere, o i genovesi che commerciano l'acciaio, tutti dentro i marchingegni adoperati nel fallimento Parmalat o in quello Cirio, la complicità fra affaristi e politici nel comune scacco dello Stato.
La Lega che era nata come reazione dura e pura alla corruzione dei partiti, alle loro burocrazie avide, nel giro di pochi anni ha creato i suoi feudi, le sue zone di interesse come l'aeroporto della Malpensa dove le assunzioni, le carriere, gli appalti dipendono in gran parte dai suoi grandi elettori. Il motto lombardo "Mai molè. Tegn dur" può esser così tradotto: non ci faremo mettere fuori dal grande banchetto, grideremo, ricatteremo, faremo confusione, fingeremo di essere eversivi perché sappiamo che i nostri avversari hanno lunghissime code di paglia.
La storia politica della Lega sta tutta nella finta eversione bertoldesca, nel suo finto e impossibile separatismo, nei continui attentati all'unità del Paese e all'esercizio della democrazia, velleitari e inconcludenti: la costituzione di una guardia padana che però non arriva mai allo squadrismo, la creazione di istituzioni nordiste come il parlamento di Mantova, la scuola, lo sport e persino le miss che oscillano fra il velleitarismo e il folklore. Un localismo ambiguo che si dichiara nemico del parlamentarismo nazionale e ci campa sopra, che grida Roma ladrona e partecipa ai privilegi e agli appalti, una ripetizione anomala pittoresca di quello che fu nel periodo democristiano il ruolo dei piccoli partiti laici che raccoglievano le briciole del potere e quanto bastava per sopravvivere.
C'è una melanconica comicità nello spettacolo degli onorevoli democratici indignati se il dentista bresciano Cè, il Farinacci del Carroccio, insulta la città di Roma e si ribella alla disciplina parlamentare. Come se questa non fosse una sceneggiata che si è ripetuta negli anni: dagli insulti ai giudici che si permettevano di perseguire le violenze leghiste, all'appoggio ai "serenissimi" scalatori del campanile di San Marco, alla continua apologia di reato di sindaci come quello di Treviso. Questa Lega dura e pura è diventata negli anni una compagna di strada della partitocrazia che voleva distruggere.
Quanto alle ragioni tattiche che spingono i dirigenti leghisti a questo attivismo fragoroso si può supporre che la malattia del loro leader Bossi li abbia gettati in uno smarrimento, in una angoscia di sopravvivenza che pensano di coprire, con l'oltranzismo verbale. Ma è un rimedio di cortissimo respiro, la Lega non ha progetti credibili, è fuori dai grandi giochi della politica, da quelli europei come da quelli atlantici, dalla rivoluzione tecnologica, come dalla lotta al terrorismo, dal rilancio dell'economia come dalla crisi dello Stato sociale.
In questo gioco contorsionista si è arrivati al colmo del ribelle Cè che dichiara alla stampa: "Non siamo dissennati, votiamo la fiducia al governo. Condividiamo alcune cose fatte dalla Casa delle Libertà. C'è ancora in ballo il federalismo". Povera Italia!

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …