Michele Serra: La magnifica ossessione di un visionario della tavola

26 Aprile 2004
Pollenzo è un sogno, un quadrato magico che racchiude i sapori del popolo e i saperi dei chierici in miracolosa, spettacolosa armonia. Il suo inventore, Carlo Petrini, sopporta allegramente la sua fama prevalente, che è quella del ghiottone, o peggio del gastro-filologo snob, maniaco del formaggio di fossa e dell' ortaggio in via di estinzione. Pietra su pietra, la sua Università è la monumentale smentita di ogni logica di nicchia, di evasione decadente, di sfizio per pochi amiconi di sinistra che compensano a tavola le frustrazioni della politica. Petrini sopporta e se la ride perché Petrini sa che c' è più politica in Pollenzo (e in Slow Food) che in mille convention dove i partiti ulivisti si intignano nel gioco acido delle alleanze. Acquisto e ristrutturazione (magnifica) della proprietà ex Savoia sono costati meno di tre milioni di lire al metro quadrato: venti milioni di euro raccolti tra gli imprenditori agricoli della zona, una public company (socio al 25 per cento la Regione Piemonte) che ha realizzato in meno di quattro anni la prima università mondiale di Scienze gastronomiche, una Banca del vino che fa invidia ai francesi, un albergo di lusso a prezzi accessibili (140 euro una stanza doppia, a Milano e Roma con quei soldi si dorme in una topaia), un ristorante d' eccellenza, il celebratissimo Guido. Un campus "diffuso" (molti studenti saranno ospiti, a prezzi controllati, nelle case private della vicina Bra) che trasformerà un borgo di passaggio in una piccola città universitaria. Rapporti internazionali (Slow Food, centomila soci dei quali ventimila negli Usa, è consulente della Fao) che porteranno a Pollenzo studenti e docenti da ogni parte della Terra. La sfida di Slow Food va intesa, specie oggi che Pollenzo sta per aprire i battenti, in tutta la sua ostinata (ed eversiva) sostanza: mettere la qualità al centro di ogni intenzione e di ogni azione, e soprattutto credere fermamente che la qualità possa e debba diventare "democratica". E' l' esatto rovesciamento della logica dei consumi omologati e della cultura di massa, il cui paradigma (pensate alla televisione, pensate all' edilizia popolare, pensate all' industria del turismo) è che la qualità sia escludente e dunque vada esclusa, che la qualità sia nemica della penetrazione diffusa dei prodotti e delle idee. E' totalmente paradossale, in questo senso, che Petrini sia, presso i suoi detrattori, in fama di snobismo elitario. Veramente snob ed elitaria, veramente classista, a ben vedere, è la rassegnata e/o sprezzante idea che alla "gente", massa indistinta, spetti solo mediocrità e bruttezza. Non per caso la prima "battaglia" di Petrini fu contro il livello scadente della ristorazione alle popolarissime Feste dell' Unità: in Italia, soprattutto in Italia, si può fare cucina popolare ad alto livello e a prezzi contenutissimi, dunque è un delitto non farla. Pareva solo un' amena discussione con il tovagliolo allacciato, era (e lo è a maggior ragione adesso) una discussione nevralgica sul significato stesso del termine "popolare". E una sinistra che, in larga parte, ha perduto il popolo, e lo vede con diffidenza come audience addomesticata, dovrebbe riflettere sulla parabola vincente di Carlo Petrini, uomo di territorio e uomo del popolo (parla spesso e volentieri in dialetto) che delle sue radici contadine ha saputo fare, come si diceva una volta, contro-cultura, oggi vale la pena dire cultura tout-court, perché il solo fatto di fare cultura è "contro". Incapace di accettare che si debba, per sopravvivere, imitare i modi e le intenzioni degli "altri", amico di contadini e di artisti, alieno alla televisione (dove va di rado e con grande sacrificio), politicamente rosso antico ma molto socievole nella prassi (ha rapporti con quasi tutti, parla parecchio bene del ministro Alemanno), Carlo Petrini ha dimostrato che su un' idea radicale (il buon vivere, e un vivere gentile, dev' essere il vero obiettivo della politica) si può fondare una prassi vincente. La bellezza di Pollenzo, dove tutto è armonioso e semplice, stra-comodo ma sobrio - detto con un ossimoro: lussuosamente monastico - parla di un' Italia d' eccellenza, colta e alla mano, ospitale e orgogliosa, dolcevitosa e seria, cosciente della sua secolare ricchezza interiore, dei sontuosi paesaggi agricoli, dei vitigni, delle geometrie della terra, delle architetture rurali. Un' Italia di intellettuali e di popolo (così come amava definirsi la sinistra dei tempi che furono): la sera prima dell' inaugurazione ufficiale di Pollenzo, gli anziani della zona saranno a cena da Guido. Altissima cucina e musiche della banda della Polizia, con il prefetto di Cuneo alla batteria. Ho visitato Pollenzo insieme al priore di Bose Enzo Bianchi, teologo di fama e cuoco di vaglia, piemontese e cosmopolita come Petrini. Mentre Petrini faceva da cicerone, quasi incredulo di essere riuscito a mettere in piedi un progetto così smisurato, Bianchi gli ha cucito addosso un vecchio proverbio locale: «Se uno l' è propi matt, vuol dir c' l' è anche furb». La pazzia di Pollenzo sta a dimostrarlo: solo sognare in grande costringe a risolvere i problemi. E preserva dalla mediocrità, la stessa mediocrità che ci sta impastoiando.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …