Giorgio Bocca: La lunga agonia di un megalomane

16 Luglio 2004
L'agonia di un megalomane è da megalomane, sinceramente smodata, esageratamente sofferta. Berlusconi si è afferrato al ministero del Tesoro come un naufrago a una zattera, ha abbandonato Tremonti con la furia della sopravvivenza, mors tua vita mea, era felice a Bruxelles, felice di poter ancora far sorridere di stupore o di pena i burocrati europei. Si sentiva nel suo inglese scolastico il compiacimento dell'autodidatta: chi ha imparato l'inglese più in fretta di me? Chi se la cava meglio? Quanto durerà questa agonia da megalomane non è dato di prevedere. Speriamo poco, perché non c'è nulla di più penoso di un uomo che si credeva e si crede unico al mondo, "con una marcia in più", come dicevano i suoi cortigiani, che scopre che le marce le ha usate a vuoto. Questo tramonto berlusconiano ha qualcosa di Odissea nello spazio: non c'è stato un ultimo decisivo duello fra lui e gli altri, ma un abbandono progressivo, una divergenza spaziale: l'astronave del paese Italia da una parte, il piccolo Cesare dall'altra.
Lui non si è ancora reso conto, non può rendersi conto, di non essere più il sole del suo sistema, il sistema della immaginazione al potere, della menzogna unica verità, dell'apparire più importante dell'essere, dell'immaginare più concreto del fare. Con il licenziamento del ministro Tremonti imposto dai compagni di strada si è trovato di fronte a una sfiducia totale: veniva bocciata la sua politica economica e il suo disegno di salvare gli italiani dal millenario peso delle tasse. E siccome questo suo disegno non aveva nulla di razionale, il suo fallimento non poteva essere ragionevolmente spiegato. Non gli restava che rilanciare sulle vaghe promesse.
Così, è saltato sulla zattera del ministero del Tesoro e ha cantato alla luna la sua disperazione: "Ci proverò ancora, gli italiani mi hanno creduto e io non li deluderò, se gli altri non vogliono tagliarle, queste tasse le taglierò io". Il fatto di aver superato i controlli europei per il rotto della cuffia, di dover ripianare il deficit con una nuova stangata ai contribuenti, di non avere né le risorse né il potere che ebbero Reagan o la Thatcher per imporre la loro, del resto discutibilissima, svolta liberista, non lo distraggono dalle sue megalomani convinzioni: di essere invincibile e immortale, dunque autorizzato a insistere nei suoi errori oggi apparenti, ma destinati al successo finale.
Una ripetizione nel grottesco del Napoleone di Marengo, che alle quattro del pomeriggio dice ai suoi generali: abbiamo perso una battaglia, andiamo a vincere la seconda e definitiva. Ma già si udivano gli zoccoli dei cavalli di Desaix che accorreva alla rivincita.
Qui di Desaix non se ne vedono proprio. Qui, in questi anni di economia fantasiosa e creatrice, si sono venduti, ‟cartolarizzati”, i beni di famiglia, si è nascosto il deficit con i condoni e i trucchi contabili di Giulio Tremonti, il genio bizzarro e bizzoso definito da Cossiga "il più gran conoscitore di paradisi fiscali", si è cioè affidata la finanza pubblica a un esperto nei modi di privatizzarla, si è sperato in una ripresa del mercato mondiale, in una sorta di provvidenza e ci si è ritrovati con le casse vuote e le prospettive pessime.
Un epilogo che il megalomane non può accettare: durerà con i trucchi e le menzogne altri cinque mesi, forse tenterà la carta delle elezioni anticipate, si spera che non abbia la forza per ricorrere a soluzioni autoritarie, ma nel suo insieme la sua vicenda politica e umana sembra chiusa.
Ha cercato di vendere tappeti volanti e altre favole agli italiani e non c'è riuscito, potrà tentare altre avventure, ma non di governo. Per fare il dittatore ci vogliono doti che non ha e congiunture in cui sperava, ma che gli sono mancate.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …