Paolo Conte

23 Luglio 2004
No, se non lo avessi incontrato per caso non mi sarebbe mai passato per la testa di parlargli. Ci sono persone che esistono solo per attestare la loro inavvicinabilità come oggetti di carne; puri spiriti della comædia interiore di ognuno, devono stare alla larga dal vero e dal vivo.
Dunque sono a Genova dal commercialista per dirimere un’annosa questione di cooperativa culturale dove qualcuno ci ha marciato e molti ci hanno rimesso. Già che ci sono cerco di sgraffignare un parere a gratis circa i diritti d’autore, ma in questi rami voluttuari del commercio poco è chiaro anche al vecchio volpone, chepperò dopo pochissimo pensare si illumina e fa: ‟Ma lei è fortunato! C’è qui la persona giusta per queste cosette!” e mi sospinge in ulteriore ufficio sommerso in una madida penombra stile impero e mi presenta con familiare dimissione la siluette che sta leggendo una carta all’impiedi: ‟Ecco qua il singor Conte, il famoso Conte, chieda pure a lui”.
È sì, è proprio Paolo Conte, il noto signor Conte. Gelo; oh, se gelo. Molto distinto... onorato... se mai posso permettermi... una informazione... sa? questione di diritti. Che cazzo centra Paolo Conte in questa contingenza notarile? E mi rendo conto che chi non centra niente sono io, che lui è qui a fare il suo mestiere, quello di carne e di ossa. Appunto, non è qui che bisogna che stia, non sono disposto al confronto, non mi interessa sapere che esiste, non voglio nessuna informazione da lui. Lui è laggiù che deve restare: nella sentina della mia cattiva coscienza dove covo caldo il posto alle interiora melodicovirili, alle sentimentalità di vecchia bestia, vecchio maschio sopravvisuto a tutte le lezioni della storia.
E allora ‟Non si guadagna con le note blu, dottore” faccio io.
‟Ehilà” mi risponde. E si scioglie dalla siluette per schiarirmisi di fronte. È proprio lui: sorriso sigaretta signore.
‟Mi hanno detto di rivolgermi a lei per cose dell’arte e del commercio, ma francamente ora come ora non ricordo bene il quesito da sottoporle dottore. Esitation”
Si intuisce che non è per nulla in imbarazzo, anzi, accondiscende al fesso. Molto professionale.
‟Forse avrò una crisi di nervi, non mi aspettavo di incontarla. Anzi, è una cosa sgradenole dover constatare che è possibile farlo. Vorrei che lei ritornasse il più presto possibile a impallidire nelle voragini del suo ultimo long playng, dottor Conte. Ma prima, ed è una questione di onore a queto punto, devo chiederle: per quale ragione le sue canzonette mi hanno trapassato ogni ragionevolezza e sono qui diffuse tra precordio e fegato, a disegnare metodicamente una curva sicuramente cancerigna? Eppure, volendo, avrei nelle scarpe un ritmo mio.”
Se la fuma da signorone lui e non batte ciglio. Ah, che calma di casta la sua.
‟Beh, vede, io non me la prenderei poi tanto. Mi dicono che è cosa diffusa l’antipatia per quelle mie cosette. Direi, per giunta, che non mi piace neppure parlarne più del necessario. Ma se lei vuole chiedermi qualcosa, di non troppo complicato -s’intende- sono qui a sentirla.”
‘Eh, no, non è così semplice, eh, no! Il maestro è nell’anima e dentro all’anima per sempre resterà. Questo innanzitutto non mi so spiegare: la sua arte nel persistere, come fosse il corifeo dei sentimenti imperituri, il gatto in fondo alla mia anima. Penso che finirò sempre per ridere di te, ma non succede mai.”
‟Vede, non mi pare di essere il portatore di granché. Io avrei la mia ambizione, sicuro, ma non è poi così ridondante. Le confido che a me sarebbe piaciuto studiare un poco il jazz, se non fosse stato per il lavoro e per le cose della vita. Mi sarebbe piaciuto ascoltare con attenzione Luis Amstrong, capirlo, lavorare sul suo lavoro, ingegnarmi con suo genio. Tutto qui, ed è una cosa che ancora devo fare.”
È una scena d’amore e di esitazione stupenda.
‟Ma allora? Allora? Tutto il di più? Quel calare di un quarto di tono sulla battuta che strangola il mio cuore patriota? Quel rompere il verso col solo porre il piede sul levare, alla maniera greca. E la sua orchestra, l’orchestra eccitata e ninfomane, chiusa nel golfo mistico che ribolle di tempesta e libertà? No, questo è il di più, il di mio che non è di Amstrong e nemmeno del jazz tutto intero.”
‟Bene, ma io penso che lei si sbagli. Si, mi dicono che faccio del tropicalismo, o qualcosa del genere, cose esotiche. Ma non mi pare. Siete voi, se mi permette di accomunarla a molti di quelli che ascoltano le mie cosette, siete voi, mi scusi, che vi siete inoltrati un po’ troppo in un certo tropico interiore e pensate che le mie cosette siano le liane di cui sentite il bisogno per -non so proprio- forse partire alla carica...”
‟Dio, ma lei mi prende in giro. Io non sono di quei ragazzi scimmia del jazz, eh, no! Mi occupo di altro, penso ad altro, vorrei vivere di altro, se mi permette. Io non ho sentieri in questa città: sono nato altrove, cresciuto altrove. Boschi semmai, e non foreste. Eppure, la notte, a me per me con le frattaglie della mia vita, non c’è radio di frontiera che mi dia il fuoco di un’abanera delle sue, un tempo di sei ottavi appena zoppo, glissato per farmi perdere il raziocinio. Cristo, nessuno mi odia come mi odio io a un suo concerto.”
‟Bene, io le consiglio di non venirci più. Anch’io del resto mi do spesso questo consiglio. Ma non aveva da chiedermi qualcosa? Se non ricordo male...”
‟Non mi pare dottore. Credo che ci sia stato un equivoco. Io per me mi sto vergognando come un cane per essermi lasciato andare; vorrei nascondermi in un sonno torpido, ora, se non avessi il sospetto che il gattone di una abanera è là che mi aspetta acciambellato nel fumo di un amorazzo che non dovrei nemmeno ricordare. Recitando si scende giù nel fondo e nel fondo la rincontrerei. Mi scusi ancora dottore, buon lavoro.”
E vaffanculo anche al commercialista.

Maurizio Maggiani

Maurizio Maggiani (Castelnuovo Magra, La Spezia, 1951) con Feltrinelli ha pubblicato: Vi ho già tutti sognato una volta (1990), Felice alla guerra (1992), màuri màuri (1989, e poi 1996), Il …