Michele Serra: Quel sorpasso da re dei matti

18 Ottobre 2004
Valentino Rossi ha sbagliato epoca. In questo secolo, quello degli sponsor, della "professionalità", dello sport regolato prima di tutto dal calcolo economico e dalla programmazione ossessiva del risultato, non si rischia di perdere un titolo mondiale (e relativi quattrini) per il piacere estremo di un ultimo sorpasso, per la gloria aggiuntiva di uno schiaffo al rivale già sconfitto. Inutile ai fini della classifica mondiale, utile solo ad esaltare il suo implacabile estro agonistico, quell´ultimo sorpasso era, dal punto di vista della moderna logica sportiva, interesse privato in atto pubblico, come ogni dribbling di troppo, come ogni azzardo che illustri il suo autore mettendo a repentaglio il risultato e la squadra, nel nostro caso un´industria giapponese che su Valentino Rossi investe miliardi. Ma dal punto di vista sportivo, e di quello che resta, nello sport, di umanamente emozionante, quell´ultimo infinito sorpasso (lungo come un giro di pista, e rimbeccato ad ogni metro da Gibernau) è stato un capolavoro indimenticabile, proprio per la sua gratuità, per il suo folle rilancio, per il voler stravincere quando si è già vinto, quando un secondo posto garantirebbe già il titolo mondiale e il tripudio dei tifosi.
Se lo sport riesce a inchiodare al video mezza umanità è proprio grazie a colpi come questi, emotivi, imprevedibili, che fanno balzare dalla sedia mormorando "è matto", e mentre dici matto pensi "è un genio", e comunque vedi uno che si gioca la faccia perché la faccia è proprio la sua, non quella messa sotto contratto dai suoi manager.
Siamo abituati, in genere, a retrodatare la vera, grande epica sportiva. La pensiamo in bianco e nero, legata a un´epoca romantica e guascona (anche se i soldi giravano anche allora, meno, ma anche allora), ingigantita dalla voce gracchiante della radio, dal passaparola, dalla vaghezza delle fonti che finisce per generare credulità e retorica. Nuvolari che correva ingessato (dicono), le sportellate nei corpo a corpo tra vetture nei circuiti stradali, lontano dagli occhi, nel buio della pianura notturna. Invece Valentino corre a colori, nel nitidissimo oggi dell´alta riproducibilità, e abbiamo davvero visto il gesto sportivo estremo e perfetto, le due moto vibrare allo spasimo, quasi intraversarsi quando le curve schiacciavano i telai fino a fletterli, sfiorarsi, sopravanzarsi a vicenda, fino a che l´ultimo rettilineo ha incoronato Valentino Rossi re dei matti e genio assoluto della traiettoria.
Se c´è una morale - e c´è, lo sport ne è ricco - è che non si vive solo di calcoli e convenienze, di tattiche e strategie a freddo. Che c´è, in pochi campioni giustamente amati, un sovrappiù incoercibile di passione, di estroversione, di esibizionismo che poi il talento riesce a trasformare in spettacolo, a disciplinare anche quando ti sembra che nessuna disciplina possa evitare la caduta, la figuraccia, la punizione per chi ha osato troppo.
Difatti non ci chiediamo, a traguardo tagliato, che cosa sarebbe accaduto se Rossi, uscendo di pista, avesse perduto sia il secondo posto sia il titolo mondiale. Non ce lo chiediamo perché il campione ci ha tolto la parola e se l´è presa lui, ha chiuso il cerchio, ha osato più del richiesto, più del consentito, perché immaginava di poterselo permettere. Non è che lo sapesse con certezza: ripeto, lo ha immaginato. Esattamente come il fuoriclasse sa immaginare prima le sequenze del gol perfetto, quello che poi si racconta nei bar. Quello che ha l´aura leggendaria del bianco e nero anche quando nasce a colori, poche ore prima, e quando arriva al bar, il lunedì mattina, è già una leggenda.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …