Sebastiano Nata: Vescovio, voglia di amarcord. Dagli orti al regno del Bingo

20 Ottobre 2004
‟Quando siamo venuti qui, mezzo secolo fa, si diceva Vescovìo, non Vescòvio come adesso. L'accento era sulla i, Vescovìo" ripete mia madre, e sorride, non malinconica ma divertita, difronte a unodei tanti cambiamenti portati dal tempo. Il quartiere è sorto agli inizi degli anni Cinquanta. "Intorno c'era tutta campagna" racconta ancora mia madre. "Compravo le uova e i polli da una famiglia di contadini che viveva a pochi passi da noi. Anche l'insalata ci compravo. Tutto direttamente da loro, avevano un bell'orto, roba freschissima. Così risparmiavo. Di soldi ce n'erano pochi caro mio. A volte saltavo la cena per dare da mangiare a voi figli".
Mia madre quell'epoca la mitizza un po'. Lei e mio padre sono originari di un paesino del-le Marche e a Roma si consideravano dei pionieri. Nelle storie di mia madre qualcosa di vero c'è, per carità, ma ci sono anche delle esagerazioni. Non ricordo di aver avuto una vita di stenti, né di essere stato circondato da contadini. Certo il traffico non esisteva e c'era tanto verde, prati dappenutto. Piazza Vescovio era il limite estremo della città, non ci arrivavano nemmeno gli autobus che facevano l'ultima fermata a Piazza Acilia. E in quelle case costruite da poco, di frontiera, ci abitavano più immigrati che romani. Di solito gente che veniva dal sud. Per strada si udivano espressioni dialettali di ogni tipo.
Adesso, nel quartiere, tutti parlano un italiano piatto, televisivo. In compenso, si ascoltano ovunque idiomi esotici: dell'est europeo, dell'Asia, dell'Africa. Immigrati di altre parti del mondo che quando si esprimono nella nostra lingua spesso la storpiano. Non m isembra uno scempio, anzi, mi suscita simpatia. Forse perché, pur se ovviamente ho mille privilegi rispetto a loro, almeno in questo mi trovo in una situazione analoga.
Anch'io, visto che sono un funzionario di una multinazionale, sul lavoro parlo non la mia lingua ma la lingua di chi mi paga lo stipendio.
Una decina di lustri or sono il mio quartiere era dunque una nuova area periferica, una zona al limite della campagna con palazzi piccolo borghesi e proletari. E ora? Ora è un'altra cosa. Basta vedere quello che si può considerare il suo centro, Piazza Vescovio. Adesso lì gli autobus ci arrivano, eccome. E ci si accorge subito, dalle case, dai negozi, dalle macchine che circolano, dai vestiti delle donne, che non è più un ambiente per classi basse. I prezzi degli appartamenti sono alle stelle (cari persino quelli nei caseggiati color ruggine dei ferrovieri) e per cappuccino e cornetto serviti al tavolo di uno qualsiasi dci bar della piazza, bisogna tirar fuori di tasca una banconota da cinque curo. La circolazione inoltre è diventata intensa, difficilissimo trovare parcheggio. Per questo c'è una specie di frenesia, di corsa a costruire centinaia di box sotterranei. Il quartiere si sta trasformando in una grande groviera. Finiti da pochi mesi i box situati a un tiro di sasso da Piazza Vescovio, già se ne costruiscono altri nei dintorni: c'è un cantiere in viale Arrigo Boito, un altro in via Niccolò Piccinni, addirittura due in via Mascagni.
Via Mascagni è una via elegante che limita a nord est il quartiere. Più in là si apre una scarpata che finisce sulla Circonvallazione Salaria, accanto c'è l'Aniene, poi un tratto della ferrovia Roma-Orte. Fino a una trentina di anni fa la Circonvallazione Salaria non esisteva e in fondo, tra via Mascagni e il fiume, stavano le baracche e le casupole di una borgata: il Fosso di Sant'Agnese. Da studente ogni tanto ci andavo ad aiutare un prete che aveva organizzato una scuola e un doposcuola. Mi ricordo i ragazzi, dei tipi pasoliniani tragici e allegri, sfrontati e guasconi. E le bimbette, quasi sempre invece piuttosto timide. Una in particolare. Avrà avuto sette otto anni. Era bellissima: scura di pelle di pelle e d'occhi, i capelli crespi spettinati, magra, gambe lunghe. In tutta la sua vita non si era mai mossa dal fosso di San t' Agnese. Le insegnavo a leggere a casa sua. Non poteva allontanarsi. Doveva badare ai fratellini. Una volta le ho detto se insieme a loro potevamo salire per una passeggiata verso Piazza Vescovio. Ha scosso la testa, attratta e stupita dall'invito ma anche spaventata, nemmeno le avessi proposto di traversare l'Atlanlico.
Alla fine di via Mascagni c'era la chiesetta della SS.Trintà, dove andavo da bambino. Mi piaceva perché era piccola e raccolta, ed in effetti non era altro che un appartamento al piano terra. Lì adesso c'è un'agenzia della Banca Popolare di Sondrio e le messe si celebrano nella nuova grande chiesa costruita più in alto, in uno spiazzo dove noi ragazzi giocavamo un tempo a pallone. In questo campo, su un lato, c'erano degli enormi massi bianchi, tutti squadrati o a sezione circolare. Non so come fossero finiti lì, sembravano i ruderi di un tempio crollato per un terremoto. Noi ci nascondevamo tra quelle pietre, ora naturalmente sparite, per le nostre battaglie a colpi di cerbottana.
Anche i cinema di quartiere sono spariti. Cc n'erano due. Il Ritz, di prima visione, eil Boito, di seconda visione. Il cinema Ritz è stato soslituito dal Bingo Ritz. Entrando c'è ancora intatta la biglietteria del cinema con sopra le scritte "I tempo-II tempo-Attualità" . Ma se si sale verso la galleria l'ingresso è sbarrato da una piramide ad altezza d'uomo che pubblicizza il concorso Bingo per vincere un'automobile nuova.
Scendendo in platea altra pubblicità: su un pianerottolo deserto, si possono prendere dei pieghevoli che promuovono l'offerta di un parrucchiere (ai Parioli!) per impacco rigenerante+ta-glio+piega+colpi di sole con sconti fantastici. Nel salone ingombro di tavoli si gioca, si fuma, si mangiano pizze cotte chissà dove.
Nei locali del cinema Boito, per fortuna, non c'è un altro Bingo ma il Teatro Greco. Ci allestiscono opere di Pirandello e di Shakespeare, e numerosi balletti. Siccome è proprio di fronte a casa mia, nei pomeriggi dei giorni festivi ci incontro le ballerine che arrivano al teatro o che si riposano fuori chiacchierando tra loro in tute attillate e scaldamuscoli di lana. Per un attimo ho l'impressione di abitare a Broadway.
Un'altra cosa bella sono i parchi. Il quartiere ne ha uno, grandissimo, che condivide con altre zone di Roma: Villa Ada. E uno più piccolo tutto suo: Villa Chigi; Negli ultimi anni Villa Chigi aveva subito un certo degrado ma adesso la stanno risistemando. Aggiungono terra e piantano alberi. In una parte non aperta al pubblico c'è una delle magnifiche residenze dei Chigi e, accanto, una comunità di rccupero per tossicodipendenti.
Locali alla moda, per giovani, nel quartiere ce ne sono pochi. Forse solo uno si può considerare "in", un wine bar di via Magliano Sabina. Sono sempre stato convinto che si chiamasse ‟Amnesia”. Invece, passandoci davanti la settimana scorsa, ho letto sulla placca della porta ‟Amnèsia”, con l'accento sulla e. "Come mai?" ho chiesto al padrone. "Perché la pronuncia corretta della parola è amnèsia non amnesia" ha risposto sicuro e sbrigativo. Nel mio quartiere, evidentemente, gli accenti continuano a spostarsi in libertà.

Sebastiano Nata

Sebastiano Nata è nato a Roma nel 1955. Il dipendente, il suo primo romanzo (Theoria, 1995; Feltrinelli, 1997) ha avuto un’accoglienza straordinaria dalla critica. Con Feltrinelli ha pubblicato anche La …