Giorgio Bocca: Un privatissimo regime di massa

31 Gennaio 2005
Tornano le elezioni regionali e politiche e Silvio Berlusconi, senza la minima esitazione, torna a cavalcare l'anticomunismo più istintuale e irragionevole: il comunismo come terrore, miseria, morte.
Lo dice credendoci. È convinto che la maggioranza degli italiani condivida questo suo sentimento profondo di angoscia e di repulsione, che valga ancora l'immagine del tempo fascista, dei cosacchi con la stella rossa che abbeverano i loro cavalli nelle acquasantiere di San Pietro.
Nel 1994 ha indovinato ed è convinto che l'esorcismo del diavolo comunista gli riuscirà anche stavolta e in modo definitivo con la sua elezione prima al governo e poi alla presidenza della Repubblica.
Ma cos'è allora questo legame profondo della destra di massa con l'anticomunismo? Perché il nazismo e il fascismo hanno avuto un largo appoggio di massa? Perché un manovratore di consensi come Berlusconi ha sentito il bisogno di ‟sdoganare” i neofascisti italiani e di proclamare pubblicamente, alla vigilia delle elezioni amministrative di Roma, che fra Fini e Rutelli o Veltroni lui preferiva senz'altro il primo?
La ragione più semplice e brutale è che la borghesia alta e bassa della iniziativa privata, del clientelismo liberale, con i fascismi un accordo prima o poi lo trova. Lascia che i dittatori sfoghino i loro rancori proletari, le loro invidie per il denaro, le loro affermazioni sulla prevalenza della politica e poi si associa al potere: il barone Krupp fa entrare la svastica nelle sue acciaierie e il senatore Agnelli riceve Mussolini al Lingotto, per il decennale, sia pure obtorto collo.
E i dittatori ‟neri” confessano la loro segreta ammirazione per i ‟padroni del vapore” che saranno dei pescecani voraci, ma con l'industria ci sanno fare. Sono d'accordo anche le istituzioni religiose che con i fascismi campano e si alleano.
Il comunismo non è una rottura totale, una rivincita totale della politica sulla economia privata. "Sono uno dei vostri", dice Berlusconi alle riunioni confindustriali, uno dei padroni e padroncini che issano la bandiera aziendale e pensano di governare il paese come la loro azienda.
Ma c'è qualcosa di più profondo, di più radicato. Il comunismo, anche quello socialdemocratico che ci ritroviamo, è l'antichiesa dei senza Dio, del museo dell'ateismo a Mosca, dei religiosi fucilati in Spagna. Fascismo e nazismo non sono regimi aristocratici, sono regimi di massa, consacrati da elezioni di massa, sostenuti fino all'ultimo dalle masse. Duramente puniti per i loro delitti, ma pronti al ‟ritorno del nero” e dei nuovi dittatorelli.
Ma il condizionamento più forte resta quello economico: la pianificazione economica resta l'incubo della maggioranza di destra, la pianificazione fascista dell'Iri e dell'Imi, decisiva nello sviluppo del paese, è stata odiata, diffamata, subalterna agli interessi privati. L'idea che l'iniziativa privata è meglio di quella statale è stata dominante anche nel ventennio.
Tutte le armi e le propagande della restaurazione privata a danno del pubblico sono state messe in campo dal regime del Cavaliere. Non è un caso che con lui a palazzo Chigi sia ripartita la campagna antipartigiana, il revisionismo storico contro la Resistenza, la censura e i licenziamenti nell'informazione.
La facilità, la scaltrezza, la disinvoltura con cui Berlusconi si muove in questo ritorno a un regime para-autoritario dipendono dal fatto che lui è nato così, si è formato così, è convinto che questo sia il suo destino vincente. Non è per niente disposto a dar ragione a Romano Prodi quando gli ricorda che il governo del paese è una cosa differente da quello di un'azienda. Eppure la selezione del suo gruppo dirigente è lì a dimostrare che per il governo ha scelto i peggiori.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …