Giorgio Bocca: Salò. La riabilitazione impossibile

21 Febbraio 2005
Adesso il neofascismo italiano ha avuto una nuova pensata: equiparare i militi di Salò ai partigiani attribuendogli la qualifica generica di ‟belligeranti” cioè combattenti. Ma come si faccia a stabilire quanti erano, dove combatterono, contro chi combatterono risulta impossibile perché quello non fu mai un esercito nazionale ma una congerie di milizie agli ordini dell’occupante tedesco che non sapeva cosa farsene e ne diffidava. Nelle istruzioni impartite da Hitler dopo l’otto settembre del 1943 si stabiliva "una volta per tutte che le truppe italiane non si possono impiegare, una formazione di combattimento su cui si possa veramente contare non può essere costituita né da noi né dal nostro alleato Mussolini". E il maresciallo Keitel capo di stato maggiore della Wermacht concludeva: "Il solo esercito italiano che non ci tradirà è un esercito che non esiste". Restituire con la parola ‟belligerante” una qualità militare a quanti per forza più che per amore fecero parte delle formazioni armate della Repubblica di Mussolini non è una cosa seria, è uno dei modi che il neofascismo ha per far sapere oggi agli italiani di essere tornato al potere o, come usa dire, di essere stato sdoganato. L’esercito, o quel che passa per tale, della Repubblica di Salò non è un esercito apolitico che possa essere recuperato da uno Stato democratico, è un esercito fascista come dichiara in modo esplicito Mussolini: "Il giuramento di fedeltà alla Repubblica significa non solo adesione alla nuova forma politica dello Stato, ma adesione al complesso della dottrina del fascismo. Non ci sono porte socchiuse alle spalle. Chi giura brucia i vascelli dietro di sé. Il saluto sarà quello romano, le stellette sostituite da un gladio romano circondato da un fregio di quercia e di alloro". E il maresciallo Graziani, ministro della Guerra, aggiunge per chiarire ogni equivoco: "Camerati, di fronte al bolscevismo e alla plutocrazia si erge purissima, da tre decenni, l’idea fascista". Tanto per dire che l’iniziativa dell’equiparazione fa parte della confusione opportunistica che da Fiuggi a oggi è praticata da Alleanza nazionale e dal suo segretario Gianfranco Fini il quale ora dichiara che il fascismo fu un errore, ma con qualcosa di buono, e la Repubblica di Salò un grave errore e la persecuzione degli ebrei un orrore ma ora vuole riabilitare i ‟belligeranti” di quella Repubblica, e della sua ideologia simile a quella nazista. Il primo riarmo è una colossale operazione di trasformismo che Mussolini deve pagare alla casta militare. Il 1 ottobre del 1943 il maresciallo Graziani al teatro Adriano gremito di ufficiali lancia il suo appello per la ricostituzione di un esercito. Per convincere all’adesione si offrono lauti stipendi: ottomila lire a un colonnello, cinquemila a un capitano, tremila cinquecento a un tenente, duemila settecento a un sottufficiale quando i salari operai e impiegatizi superano di poco le mille lire. Aderiscono in sessantamila ma siccome un esercito non esiste vengono considerati ‟a disposizione”. Per tutta la durata della Repubblica i sessantamila percepiranno lo stipendio standosene negli uffici o a casa. Commenta Mussolini: "Mi risulta che al comando provinciale di Verona prestano servizio 77 ufficiali superiori e 232 ufficiali. Mi sembrano veramente troppi. Ho fatto chiedere a Graziani che ci stanno a fare. Dice che sono in attesa di essere destinati ai reparti. Quali? I reparti sono diventati fluttuanti, come tante altre cose nella Repubblica". Sono questi i ‟belligeranti” da riabilitare? Il giudizio che dà il colonnello tedesco Jandl di questi aderenti alla Repubblica è: "Il seguito del maresciallo Graziani è composto da opportunisti che si sono schierati con noi solo perché al momento della resa si trovavano da questa parte del fronte". Sono belligeranti quelli che rispondono alle chiamate alle armi del ricostituito Partito fascista e che costituiscono la Milizia del regime con la Guardia nazionale che si scioglierà l’anno seguente o gli altri delle Brigate nere o delle compagnie di ventura come la X Mas, la Muti, la Koch, la Carità, occupate a torturare e fucilare partigiani? Non è pensabile che neppure il neofascismo più arrogante abbia l’impudenza di sostenerlo. Le sole formazioni che possano rivendicare una funzione militare sono le quattro divisioni addestrate in Germania, la Monterosa, la Littorio, l’Italia, la San Marco, composte con ciò che restava dei centomila uomini che hanno risposto alle chiamate alle armi. Pochi? Tanti? Pochi rispetto ai trecentomila delle leve militari, molti se si pensa al fatto che nel 1944 la guerra era già chiaramente persa per la Germania nazista. Ma si trattava di giovani nati e vissuti nel fascismo, nutriti della sua propaganda. Ma la qualifica di ‟belligeranti”, cioè di combattenti, appare storicamente esagerata anche per le quattro divisioni se si pensa che il comando tedesco non si fidava di loro, furono dimezzate al ritorno in Italia dalle diserzioni e poi impiegate o nelle retrovie o sulle Alpi al confine con la Francia, dove non si sparò un colpo perché gli alleati sbarcati in Provenza le ignorarono e risalirono la valle del Rodano sino a ricongiungersi con le divisioni sbarcate in Normandia. A dire il vero, questi delle quattro divisioni combattenti lo furono. Ma come rastrellatori feroci di partigiani. Ma è tutta l’iniziativa di Alleanza nazionale che non va al di là della propaganda elettorale. Il problema del reinserimento dei militi di Salò nella società civile venne risolto nel primo dopoguerra, prima con l’amnistia di Togliatti che rimandò liberi a casa anche i responsabili di delitti e di atrocità, poi con la formazione del Msi Movimento sociale che li reintrodusse nella politica. Certo non era pensabile che sarebbero tornati al governo, ma di tanto dobbiamo essere grati al cavalier di Arcore.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …