Giorgio Bocca: L´Italia stanca delle bugie

06 Aprile 2005
Ne siamo fuori? Fuori dal pantano in cui si affondava ogni giorno, fuori dalla stanchezza senza fine di non capire, di essere presi in giro, del dire e disdire, delle menzogne plateali, del cattivo gusto, della cattiva politica? Fuori dal dominio del "piccolo Cesare" perché è a lui, al Cavaliere che gli italiani hanno detto no con il voto, gli altri i Fitto, gli Storace, i Biasotti, i Ghigo scompaiono come sono arrivati. Insignificanti. Più stanchi, ci si chiede, delle mediocrità minime correnti quotidiane o delle ferite profonde alla cultura, alla storia, alla diplomazia, alla buona educazione? Le due cose assieme in un impasto pesante e affliggente di mediocrità: il ponte sullo stretto di Messina, le ville padronali segretate, ma ne ha già otto o nove pensava la gente a che gli serve questa a spese dello Stato? E poi tutte le altre esibizioni di mediocrità: le canzonette con il posteggiatore napoletano o con Tony Renis, il lifting, la cena con le Lecciso, le pacche sulle spalle dell´amico George, le corna nelle foto di gruppo europee, le umilianti volgarità di ogni giorno, la loro ripetizione, la nostra rassegnazione.
Dicevano i suoi cortigiani: ‟Ma perché infierite su ogni suo minimo errore, perché non gli riconoscete alcun merito, perché non gli perdonate quel che avete perdonato agli altri?”. Perché nei suoi errori, nelle sue debolezze aveva una continuità distruttiva, gratuita. Chi lo obbligava a dire ciò che ignorava e poi a smentirlo con magniloquenza. Dell´onorevole Armando Cossutta dice che è stato a capo di grassatori. Non è vero, è stato a capo di bande partigiane che combattevano l´invasore. Preso in fallo smentisce ‟nel modo più inoppugnabile anche in base alle verifiche delle fonti storiche”. È il tipico linguaggio dei bugiardi. Si parla di papà Cervi il padre dei sette fratelli di Reggio Emilia uccisi dai fascisti e lui dice: ‟Devo proprio andarlo a trovare questo papà Cervi”. E non sa che è morto da alcuni anni e sepolto con tutti gli onori. Ogni italiano deve sapere dei Cervi? No, ma il capo del governo sì, il capo del governo non può ignorare la storia del suo Paese. E questa disinvoltura, questo suo giocare a indovinare con le cose pubbliche, di tutti, che ha deciso alla lunga i suoi compatrioti a dargli il benservito elettorale.
Di ogni cosa che tocca, che frequenta fa il suo comodo. Va a una trasmissione televisiva, Porta a Porta e in campagna elettorale se ne serve per promettere un prossimo ritorno a casa dei nostri soldati in Iraq. La gente gli crede e perché non dovrebbe?
Non è lui il capo del governo? Ma non è vero, non è lui che decide sulla guerra; chi decide, il presidente americano, gli fa rimangiare la incauta promessa. E lui si arrabatta, dice di essere stato frainteso, si inventa un rientro parziale di trecento soldati. Lui se le dimentica queste gaffe ma la gente no, almeno in quel giorno in cui la democrazia le consente di usare l´arma del voto.
Il fatto è che non è possibile separare gli errori veniali da quelli capitali quando uno pretende di avere l´ultima parola su tutto, quando lega qualsiasi atto di governo alla sua persona. La gente sa che i potenti di tutti i Paesi in tutte le epoche hanno fatto gli interessi loro e del loro seguito.
Ma non sempre, non sistematicamente, non ostentatamente. La politica fatta in questi anni da Berlusconi è percorsa in continuazione da leggi ad personam che difendono i suoi interessi e coprono i suoi benefici. C´è una ostinazione egoistica, imprenditoriale, volta al profitto personale che ne fa un personaggio nuovo e forse unico della nostra storia. Per tutto il regno e anche nel ventennio fascista la pubblica onestà prevaleva sul personale tornaconto o almeno si fingeva che prevalesse. Nel regime berlusconiano il personale tornaconto diventa un merito, con stupore il premier si chiede ‟che c´è di male a essere ricchi”, e nessuno riesce a spiegargli che non è la ricchezza ad essere sotto accusa ma l´accumular ricchezza grazie alla politica, moltiplicare ogni anno il reddito personale grazie al controllo delle televisioni di Stato, della pubblicità, delle leggi, dei principi del foro lautamente ricompensati e aggregati alle decine che ha fatto eleggere in Parlamento. Il guaio per lo Stato, per i cittadini, è che la commistione di interessi privati e pubblici finisce per essere di danno a tutti, anche a coloro che ne approfittano perché la ignoranza delle leggi e il superamento dei limiti vengono prima o poi duramente puniti.
Nel continuo dire e disdire, apparire o essere si ha l´impressione di aver perso la gravità, di galleggiare nell´aria come gli astronauti senza capire bene in che mondo ci si trovi, quali punti di riferimento restino.
Arrivano i giornali del mattino ed è come affondare in sabbie mobili, nessun uomo di potere che si assuma la responsabilità piena di quello che dice, di quello che fa.
E attorno a queste anime blandule un voyeurismo che si autoconsuma, una volgarità che diventa abitudine, una pornografia scoperta, un trasformismo di tutto e di tutti, fascisti che recitano la democrazia, democratici che si comportano come fascisti. Con il voto delle regionali gli italiani hanno detto no anche al cinismo irresponsabile della politica. Nell´ora della disfatta Berlusconi ha trovato parole di elogio e di riconoscenza solo per Bossi e i suoi leghisti. Per la conoscenza che ho di Berlusconi credo di poter dire che considerava Bossi uno sfasciacarrozze, un avventuriero politico ma che per avere il suo appoggio, per restare al governo ha accettato di far passare leggi che mettono in pericolo l´unità dello Stato e quasi impossibile una sua amministrazione unitaria. Così è stato per la giustizia: pur di venire fuori dai suoi guai giudiziari l´ha paralizzata, divisa, inceppata servendosi di una ottantina di principi del foro. Ma il peggio e imperdonabile è stato lo sdoganamento del neofascismo, il ritorno del nero: alle elezioni in Piemonte era presente nel Comune di Osasio anche una lista Fascismo e libertà nel cui contrassegno campeggiava il fascio della repubblica sociale di Mussolini.
Berlusconi non è mai stato fascista, è un borghese qualunquista che si autodefinisce liberale ma ha sdoganato il neofascismo perché gli serviva come alleato. Tutto si tiene nel campo dell´opportunismo politico. Nella svolta globale del capitalismo estremo, del profitto come unico valore, nella necessità di imporre una economia autoritaria, di liberare i ricchi e i potenti da ogni controllo, i valori dell´antifascismo non solo sono desueti ma ingombranti, sono un corpo estraneo. Ora possiamo anche dire che la marcia al potere assoluto di Berlusconi è stata velleitaria, che aveva contro non solo la metà del Paese ma quel po´ che esiste di classe dirigente. Che si impadroniva dei mezzi di informazione e di comunicazione ma senza avere poi i cervelli per farli funzionare anzi gustandoli con i cortigiani e i servi che si mettevano a sua disposizione. Ma bisognava fermarlo e in certi tristissimi momenti poté anche sembrare che la rassegnazione e la paura potessero prevalere. È andata bene. Il fenomeno della volgarità affaristica che si fa politica è stato battuto. Si torna a ragionare, a respirare.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …