Zygmunt Bauman: Karol, il messaggero della libertà

12 Aprile 2005
Questo Papa era il messaggero delle cose buone: la vita e l'amore. La vita: è il dono più grande che sia stato offerto agli esseri umani, a tutti gli esseri umani; ed è il dono che essi devono onorare in se stessi e rispettare in tutti coloro che, in quanto umani, lo condividono. E l'amore: la capacità di darlo e di riceverlo è la più alta e più nobile che l'essere umano possa apprendere - ed è una capacità che, se esercitata quotidianamente e attuata con generosità, rende la vita degna di onore e di rispetto. Era anche il messaggero della libertà. Ovunque lo conducessero i suoi pellegrinaggi, gridava: non abbiate paura, non siate timorosi. Liberatevi della paura, poiché la paura è l'alleato più sinistro del male e il nemico più terrorizzante della libertà. La lotta per la libertà - libertà di vivere e di amare - comincia dalla vittoria sulla paura. Nel messaggio che scrisse per la Giornata mondiale della pace, all'inizio di quest'anno, Giovanni Paolo II domandava se una persona possa trovare la sua realizzazione senza prendere in considerazione la propria natura sociale, il suo essere "con" e "per" gli altri. Era, naturalmente, una domanda retorica. Riflettiamo: l'essere "con" gli altri fa della responsabilità verso gli altri un destino implacabile e ineluttabile di ogni essere umano, mentre l'essere "per", che è il riconoscimento e l'accettazione di quella responsabilità come senso della propria vita (di tutta la vita), innalza quel verdetto del destino al rango di vocazione umana, mia e di ciascun altro. È proprio in quell'accettazione di responsabilità della vita degli altri, della loro vita umana che ama e che merita di essere amata, che io mi realizzo come persona umana. "Essere una persona" vuol dire essere a conoscenza della propria responsabilità verso gli altri, accettarla e ammettere (con il pensiero e con l'azione) che - per quanto l'essere responsabili degli altri sia destino di tutti, e poiché tutti ne siamo debitori l'un l'altro - è mio, e proprio e solo mio, dovere rispondere della mia propria responsabilità… Ciò che in quel messaggio Giovanni Paolo II diceva della condizione umana non dovrebbe essere per noi un mistero, poiché noi tutti sperimentiamo tale condizione quotidianamente e la dovremmo conoscere per "autopsia", per così dire, o meglio l'avremmo dovuta conoscere se solo non avessimo paura di guardarne in faccia le conseguenze e se avessimo il coraggio di affrontarle fino in fondo. Invece, per la maggior parte del tempo in cui siamo "con" gli altri, siamo circondati da altre persone, le incontriamo faccia a faccia, ma se guardassimo attentamente ci verrebbe sempre più ricordata, dal silenzioso rimprovero del volto di un-altro, la nostra responsabilità della sofferenza umana e del dolore. Nello stesso messaggio il Papa disse anche che tale vocazione umana non dovrebbe apparirci estranea, poiché non è mai cambiata da quando Adamo ed Eva assaggiarono il frutto della conoscenza del bene e del male. Quello che invece è nuovo, che cambia continuamente e che richiede tutta la nostra attenzione, è il fatto che - ad ogni secolo e da un anno all'altro - sono sempre di più gli "altri" con cui siamo e della cui responsabilità ci fa ricordare il messaggio di Giovanni Paolo. Giorno dopo giorno si moltiplica, intorno a noi e accanto a noi, la compagnia di "altri", e ogni volta che ciò avviene abbiamo la necessità di ripensare e negoziare da capo il significato di bene e di male e i mezzi attraverso i quali tradurre in pratica la nostra responsabilità nell'aiutare il bene a sconfiggere il male. La preoccupazione per la nostra comune umanità sollecita qualcos'altro e richiede abilità e capacità diverse a seconda che esse si rivolgano solo a persone fisicamente vicine, amici e conoscenti, i familiari e i vicini più prossimi, oppure vengano allargate ad abbracciare l'intera tribù e, ancora oltre, vengano estese a includere l'intera nazione, tanto vasta che nessuno può mai vederla tutta con i propri occhi, e, oggi importantissimo - nel nostro mondo che si sta rapidamente "globalizzando" -, si espanda ad abbracciare tutto il genere umano, o come dice Giovanni Paolo "la comunità di popoli e nazioni". Ed è proprio il prodotto di quella globalizzazione a quanto pare inarrestabile, che comporta la porosità di tutte le frontiere, il rapido accorciamento delle distanze che separano nello spazio popoli e nazioni, la futilità di mura difensive e la vicinanza di persone fisicamente lontanissime - vicinanza di destino, di dipendenza reciproca, di opportunità di sopravvivenza e di speranze nel rispetto umano -, che Giovanni Paolo II desiderava elevare alla dignità di comunità spirituale, unita, oltre e al di sopra di tutte le divisioni e differenze, dall'attaccamento alla vita e all'amore. È terrificante pensare a quale potrebbe essere l'alternativa alla realizzazione di quel messaggio e all'assolvimento di quel compito. Ed è impossibile pensare a un compito più cruciale e più urgente, al fine di garantire la nostra comune sopravvivenza e umanità sul nostro affollato pianeta. Giovanni Paolo II ha fatto della sua vita un unico, continuato, sforzo per convincerci di questa verità, che ora più che mai nella storia dell'umanità è vitale e necessario apprendere. Portando quel messaggio ad ogni popolo e ad ogni nazione del pianeta, Giovanni Paolo II ci ha insegnato che essere umani vuol dire amare la vita e vivere l'amore; e ci ha mostrato come fare una cosa sola della propria vita e dei propri principi. Se solo vedessimo, quando guardiamo, e sentissimo quando ascoltiamo. E ricordassimo, negli anni e nei secoli che verranno, quando Karol Wojtyla non sarà più con noi a ricordarcelo, quotidianamente.
Traduzione di Anna Maria Brogi

Zygmunt Bauman

Zygmunt Bauman (1925-2017) è stato professore emerito di Sociologia nelle università di Leeds e Varsavia. Tra le sue più importanti opere in italiano: Modernità e Olocausto (il Mulino, 1992), Il …