Stefano Rodotà: Fecondazione assistita. La Costituzione e i fondamentalisti

30 Maggio 2005
Era prevedibile, ed era stato detto, che la legge sulla procreazione assistita sarebbe stata utilizzata come apripista per mettere in discussione, peraltro in modo improprio, le norme sull´aborto. Qualche difensore della legge 40 aveva sostenuto che questo non era vero, probabilmente preoccupato d´una possibile reazione, in particolare delle donne, ricordando che la legge sull´aborto era stata confermata con un massiccio 88,4% dei votanti in occasione del referendum del 1981. Ma ora dall´interno della maggioranza vengono esplicite dichiarazioni in quel senso. È bene, quindi, rendersi conto del fatto che il voto del 12 giugno serve anche a respingere questa tentazione.
In realtà, l´intera vicenda della legge sulla procreazione assistita è nata, si è sviluppata e si svolge all´insegna di una regressione istituzionale, e ormai ha assunto i caratteri di una inequivocabile, anche se indiretta, messa in discussione della stessa Costituzione. È un segnale inquietante, che scavalca la legge in discussione, e che quindi esige da tutti una valutazione approfondita che vada oltre l´occasione referendaria.
Potrebbe sembrare il contrario se si considerano i richiami che molti sostenitori del no e dell´astensione fanno alla Costituzione, sottolineando che assicura tutela al concepito, e alla Carta dei diritti fondamentali dell´Unione europea, sottolineando che il suo articolo 2 riconosce il diritto alla vita. Ma è proprio il modo in cui sono fatti questi richiami a mostrare subito come il quadro costituzionale venga profondamente e pericolosamente distorto.
Il riferimento alla tutela del concepito è tratto dalla sentenza con la quale, nel 1975, la Corte costituzionale dichiarò parzialmente illegittimo l´articolo del codice penale che puniva chi interrompeva la gravidanza di una donna consenziente, avviando così quella depenalizzazione dell´aborto che avrebbe poi trovato pieno riconoscimento nella legge n. 194 del 1978. Ma che cosa dice davvero quella sentenza, pronunciata da una Corte presieduta non da un pericoloso relativista laico, ma da un rigoroso esponente dei giuristi cattolici, Francesco Paolo Bonifacio? Parla sì di un fondamento costituzionale per la tutela del concepito, ma immediatamente dopo aggiunge: "questa premessa va accompagnata dall´ulteriore considerazione che l´interesse costituzionalmente protetto relativo al concepito può venir in collisione con altri beni che godano pur essi di tutela costituzionale e che, di conseguenza, la legge non può dare al primo una prevalenza totale ed assoluta, negando ai secondi adeguata protezione". E, con assoluta nettezza, conclude così: "non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell´embrione che persona deve ancora diventare".
Letta nella sua interezza, quella decisione va dunque nella direzione opposta rispetto a quella verso la quale i sostenitori della legge vorrebbero forzarla. È inammissibile quella sorta di dittatura dell´embrione, che ispira l´intera legge, perché all´interesse del concepito non può darsi una tutela assoluta che travolga ogni altro interesse in gioco e perché l´embrione non può essere considerato persona. Attenzione: il discorso della Corte è tanto più forte in quanto, pur usando termini come concepito e embrione, in realtà si riferisce al feto, dunque ad un embrione in uno stadio molto più avanzato e già impiantato nel corpo materno. A maggior ragione, quindi, esso vale per embrioni nei loro stadi iniziali e ancora non impiantati.
Altrettanto netta è la distorsione operata con il riferimento all´articolo 2 della Carta dei diritti, corrispondente allo stesso articolo della Convenzione europea dei diritti dell´uomo. Ora, proprio la Corte europea dei diritti dell´uomo, con una sentenza del luglio dell´anno scorso, ha constatato che "non v´è consenso a livello europeo sulla definizione scientifica e giuridica su che cosa sia l´inizio della vita"; di conseguenza, sull´inizio della vita si decide a livello nazionale; e, in conclusione, si possono riconoscere tutele all´embrione "senza considerarlo persona con diritto alla vita secondo l´articolo 2". Di nuovo, una corretta lettura dell´articolo 2 della Carta fornisce piuttosto argomenti a chi osserva come non vi sia alcun principio che imponga di identificare l´inizio della vita con il concepimento e di considerare l´embrione come una persona.
Caduto questo maldestro tentativo di dare fondamento costituzionale al modo in cui la legge sulla procreazione assistita definisce lo statuto dell´embrione, risaltano con evidenza ancora maggiore le forzature che essa contiene, vere e proprie cancellazioni di principi e valori che stanno alla base della prima parte della Costituzione, dove si disciplinano libertà e diritti fondamentali. È ignorato il principio di dignità nel momento in cui la donna non è considerata nel suo particolarissimo rapporto con chi solo attraverso di lei può nascere, ma viene ridotta a puro contenitore. Viene negata l´eguaglianza dei cittadini davanti alla legge attraverso una serie di irragionevoli divieti all´accesso delle donne alle tecniche procreative. Si comprime così il diritto alla salute, il cui carattere "fondamentale" è affermato dalla Costituzione e ripetutamente ribadito dalla Corte costituzionale. Si sottopone a controllo il corpo della donna e si cancella la soggettività femminile.
Siamo di fronte ad un disegno perseguito con determinazione, ignorando le molte osservazioni che, in tempi non sospetti, avevano messo in guardia contro questa deriva, questo abbandono di una solida fondazione costituzionale di una legge che incide pesantemente sulla vita delle persone. È necessario, allora, interrogarsi sulla cultura che sostiene questa impresa, sugli obiettivi perseguiti, sulla durezza con cui si difende anche l´indifendibile.
Siamo di fronte ad una operazione analoga a quella realizzata con la riforma che ha alterato principi ed equilibri della seconda parte della Costituzione. Emerge ora la volontà di distaccarsi anche dai valori contenuti nella prima parte, sostituendoli con riferimenti che cancellano principi condivisi (dignità, eguaglianza, salute) e che propongono in modo autoritario un´idea di natura astratta da cultura, storia, scienza. Questo tentativo è ancor più pericoloso di quello perseguito con la riforma costituzionale, perché questa volta si toccano le libertà e i diritti fondamentali.
La ragione dell´asprezza dello scontro di queste settimane sta proprio qui. L´attuale legge sulla procreazione assistita è ormai percepita come il primo atto di una contesa che ha come posta l´occupazione dello spazio costituzionale da parte di diversi fondamentalismi. Si può ben dire che su questo terreno i nostrani teocon stanno facendo con impegno le loro prove. Avanza un´altra idea di Stato e di società ed emerge, con caratteri inediti, la Chiesa cattolica come vero soggetto politico.
Si è aperto un conflitto destinato a proiettarsi nel futuro. E questo accade perché è stato abolito il filtro costruito pazientemente intorno allo Stato costituzionale dei diritti, anche come strumento di coesione sociale e di reciproco riconoscimento tra persone e gruppi.
Ma questo non sta forse avvenendo perché il mondo cattolico, a differenza di quello laico, è oggi l´unico capace di esprimere valori forti? Le cose stanno davvero così? Si abbia la pazienza di guardare ai valori intorno ai quali è stata costruita la Carta dei diritti fondamentali dell´Unione europea: dignità, libertà, eguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia. È questo il regno del relativismo, della debolezza, o sono deboli la cultura e la convinzione con cui troppi laici hanno guardato a quel nuovo quadro costituzionale e, prigionieri d´un vecchio pregiudizio che vede il mondo cattolico più attrezzato per le questioni etiche, hanno finito con il cadere nella trappola di chi continua a sostenere che la fondazione dell´Europa è debole perché non ha voluto parlare delle sue radici cristiane?
Oggi ci troviamo su un crinale molto sottile, in bilico tra Stato democratico e Stato etico, tra libertà e autoritarismo. Per uscire da questa difficile situazione non ci si può più affidare alla sola libertà di coscienza dei parlamentari. Per molti motivi. Anzitutto perché, trincerandosi dietro questo argomento, non ci si accorge che, quando si interviene sulla vita, si rischia di negare la libertà di coscienza degli altri, di tutti i cittadini. E poi perché si rimane chiusi in un´idea di legislazione, di produzione delle norme, ignara della necessità di una paziente costruzione di consenso sociale quando si tratta di passare dall´etica al diritto. Altrimenti la legge, che dovrebbe chiudere il conflitto, lo incentiva, esponendosi al rifiuto dei cittadini, all´aggiramento da parte di chi ha risorse culturali ed economiche per farlo. Così le leggi falliscono e il loro autore, il Parlamento, viene delegittimato, o addirittura cade nel discredito.
Forse bisognerebbe riflettere sulle sagge sentenze ricordate all´inizio, che non negano tutela giuridica all´embrione, ma indicano come la via corretta per farlo non sia quella dell´orgoglio ideologico, ma della sobrietà democratica. Che non impone impossibili equiparazioni, ma si impegna nel distinguere e nell´offrire discipline differenziate, permettendo pure quel confronto continuo che, solo, può consentire la nascita di posizioni comuni, come stava accadendo prima dell´improvvido intervento legislativo.
È troppo tardi per tornare su questa strada, per fermare la decostituzionalizzazione ideologica dell´intera Costituzione? La discussione sui referendum dovrebbe aver aperto gli occhi di molti. Dopo il voto, e quale che ne sia l´esito, verrà il momento per rivendicare con forza, contro risse e forzature, le ragioni di una politica colta e appassionata. A condizione di saperlo fare.

Stefano Rodotà

Stefano Rodotà (1933-2017) è stato professore emerito di Diritto civile all’Università di Roma “La Sapienza”. Ha insegnato in molte università straniere ed è stato parlamentare in Italia e in Europa. …