Giorgio Bocca: Quando il manager perde il posto

15 Luglio 2005
Il capitalismo ha rotto i lacci e lacciuoli che lo rallentavano e corre per le immense praterie del mercato globale e della rivoluzione tecnologica. Chi si ferma alla conservazione del passato è perduto. Le aziende che producono macchine e beni materiali sono sorpassate, bisogna produrre idee, ricerca, desideri, mode. Fanno bene a Piombino a chiudere le acciaierie e a dedicarsi a un gigantesco progetto turistico e chi si chiede chi avrà i soldi per andare negli alberghi del progetto turistico se le acciaierie chiudono è un sorpassato: arriveranno i cinesi, magari gli indiani.
È vero che i cinesi e indiani e magari africani hanno miliardi di poveracci che non sanno come combinare il pranzo con la cena ma i loro mercati sono in crescita, i loro consumi anche, per i nostri già ricchi sono una buona occasione.
E i sempre poveri? I poveri sempre più poveri? Si aggiustino o continuino a contare sui mega concerti di Live 8, su questa formidabile medicina sociale di massa che risolve la miseria dei poveri facendo cantare i ricchi. Un po' come ai tempi di Nerone che ricostruiva Roma incendiandola e sfamava la plebe al suono della lira.
Le aziende che producono merci non rendono, rendono quelle come le televisive che producono immagini, fantasmi, mode o come quelle dei telefonini che moltiplicano informazioni false, inutili, ma anche tanta pubblicità popolata da belle donne dal sorriso perverso e dalle curve procaci che offrono nuovi gadget pronti a rompersi rapidamente e a rifornire il mercato dei ricambi. Questa è l'economia bellezza!
È il tempo delle stock option, dei manager che non pensano ai beni durevoli ma a far salire i profitti finanziari anche a danno dell'azienda, dei grandi manager astuti che si mettono d'accordo per rifilare alla loro azienda avanzi di magazzino a danno degli azionisti ma a beneficio loro.
Cosa aspettiamo noi italiani a saltare sul carro del capitalismo globale, moderno, creativo, innovativo che vende aria fritta e incassa valuta pregiata da trasferire nei paradisi fiscali?
Forse ci trattiene il sospetto che questo tipo di capitalismo sia molto ma molto rischioso economicamente come socialmente?
Di certo fra i primi a esserne vittime ci sono i manager che fanno da fuochisti di una locomotiva sempre più ingovernabile. I manager della provincia di Milano assunti nel 2004 sono stati 575, quelli dismessi, scacciati, tagliati, licenziati 1.130, con un saldo passivo di 555. Nel 2003 era stato di 177. Idem nella regione lombarda: 805 assunti, 1.592 espulsi. Buona parte degli usciti che anni fa ritrovavano un posto nel giro di pochi giorni ora deve aspettare se va bene dei mesi. "Oggi spesso per tornare a lavorare", dice un esperto, "bisogna reinventarsi un ruolo, magari come consulenti. Il problema è che chi resta fuori dal mercato per qualche tempo viene guardato con sospetto".
Perché un aspetto crudele di questa società ultracompetitiva è che una retrocessione, una sconfitta nell'economia, nella burocrazia dirigenziale, si trasforma immediatamente in una sconfitta professionale, umana.
Fare il manager è certo meglio che fare il bracciante, ma è singolare che nel mercato dei manager si ripetano le crudeltà, le sofferenze, le umiliazioni che c'erano nel mercato dei braccianti, quella che da alcuni viene chiamata la rottamazione dei manager.
Non è piacevole a 40 o 50 anni affidarsi agli head hunting, i cacciatori di teste in cerca di posti. A Milano e in Lombardia oggi i dirigenti di industria disoccupati sono 5 mila, il doppio che nel 2000. I licenziamenti aumentano del 15 per cento, le dimissioni volontarie sono in calo del 20 per cento. I licenziamenti di operai sono triplicati nel 2003.
Per chi scava la talpa del vecchio Marx?

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …