Giorgio Bocca: Far politica con la farina del diavolo

30 Dicembre 2005
Dal banchiere Sella e dal professor Monti ci giungono autorevoli rassicurazioni sulla solidità del sistema del credito che certamente solido deve esserlo dato che da anni tosa i depositi dei clienti senza che essi abbiano alcuna possibilità di ribellarsi.
Mai il machiavellismo sulla necessità del furto in politica è stato più di moda. Non passa giorno senza che i suoi sostenitori alla Giuliano Ferrara ci ricordino che la ‟farina del diavolo”, il denaro, è il motore della politica che ha i suoi osti che non possono essere ignorati e gli esempi non mancano: persino la integerrima Repubblica romana proteggeva il senatore Verre che ricavava tangenti persino dalla tortura risparmiandola a chi pagava. Prendeva tangenti con il piano regolatore di Roma il divo Augusto. Ne prendeva Samuel Pepys il costruttore della Marina imperiale inglese e così Francis Bacon fondatore della scienza.
Ma non sempre il denaro da corruzione è stato davvero sostegno di grandi disegni politici. Noi per esempio ricaviamo dalla storia della politica italiana, anche di sinistra, esempi meno esaltanti. Il partito socialista di Torino, per dire il partito di La Ganga, dei Biffi Gentile e del faccendiere Adriano Zampini aveva concepito una ideologia della corruzione non proprio convincente: fare il politico, il pubblico amministratore è un lavoro duro e impegnativo che va giustamente retribuito. Se non ci pensano a retribuirlo le pubbliche istituzioni ci penseremo noi politici.
Giuliano Amato arrivato a Torino come commissario del partito pensò che forse avevano esagerato, "l'amaro della vicenda", scrisse, "non sono tanto le tangenti quanto il linguaggio spregiudicato con cui venivano giustificate, e lo smarrimento del cittadino affidato a tanto cinismo e a tanta disinvoltura". Ci pensò Bettino Craxi a uscire definitivamente dallo smarrimento. A un compagno che gli denunciava i furti di un dirigente, diceva: "Di quel dirigente e dei suoi soldi ho bisogno per arrivare al potere. Quando ci sarò arrivato penserò anche a lui".
Ci pensò in un modo strano: decise che il finanziamento del partito e il suo erano la stessa cosa, si fece dare dalle industrie di Stato un bel po' di miliardi e li affidò a un barista di Portofino noto sperperatore. E da anni il presidente Silvio Berlusconi ci ripete che fece bene, vittima di una congiura dei giudici comunisti. I quali comunisti arrivati al potere ritennero a loro volta giusto e commendevole che Palazzo Chigi fosse usato come una merchant bank, una sede di affari.
Certo che la nostra fiducia giovanile nella onestà politica, la nostra certezza che uno Stato ladro non poteva reggere si è molto indebolita. In Russia la dittatura feroce di Stalin è stata sostituita dal regno degli oligarchi, i grandi ladri del nuovo regime, e negli Stati Uniti comandano i neo conservatori di Cheney e di Bush che per rubare hanno fatto addirittura una guerra e per farla hanno sbaraccato la democrazia. Nella grande Cina c'è un comunismo che per durare moltiplica le condanne a morte.
Noi siamo ai Fazio e ai Fiorani e l'unica speranza che l'idea di onestà resista è di affidarla alla cellula familiare che però la rispetta solo dentro di sé. Perché mai nelle Tavole della legge sia stato scritto ‟non rubare” non lo si capisce dato che tutti rubano, compreso il compianto Marcinkus che vive tranquillo in una sconosciuta parrocchia americana.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …