Noi, pazzi dei film d’amore. Un dialogo tra Cristina Comencini e Ferzan Ozpetek

14 Febbraio 2006
Cristina Comencini non nasconde le sue preferenze: ‟Io adoro le storie d’amore. Ne vado pazza”. Ferzan Özpetek le fa eco: ‟Non mi vergogno di ammettere che al cinema piango come un vitello”. L’accoppiata non poteva rivelarsi più indovinata: la regista che difenderà i colori dell’Italia all’Oscar con una storia di amori incrociati e il regista ‟più romantico” delle ultime generazioni, chiamati dal ‟Corriere” a parlare dell’amore al cinema, non hanno problemi a confessare la loro predilezione per questo genere di film.

L’amore
Özpetek: ‟I ponti di Madison County l’ho visto tre volte e non riuscivo mai a fermare le lacrime. Quando Clint Eastwood, fermo sotto l’acqua battente, aspetta invano che Meryl Streep scenda dalla macchina del marito che la porta via, la mia reazione è una sola: lacrime. E non dico della commozione che mi prende quando vedo Aurora di Murnau: la storia di un uomo che vuole uccidere la moglie per fuggire con l’amante e scopre di amare ancora la moglie per me è la più grande storia d’amore mai raccontata al mondo”.
Comencini: ‟Forse sei peggio di me, anche se quando ero ragazza sono stata ultraromantica: Via col vento non so più neppure quante volte l’ho visto. Mamma ci portava a vederlo, me e le mie sorelle, ogni volta che riusciva al cinema. Poi, crescendo sono diventata un po’ più rompipalle, ma la passione per le storie d’amore m’è rimasta. Sceglievo solo quelle un po’meno romanticone, come Io e Annie, che comunque considero una delle più intelligenti storie d’amore mai raccontate al cinema.”

Il mio ideale cinematografico
Comencini: ‟Quello che in passato mi aveva sempre affascinato al cinema era stato l’oggetto d’amore irraggiungibile. Amore e morte, amore e sofferenza. Come il vecchio Guerra e pace di King Vidor, con Mosca in fiamme. Per non parlare naturalmente dell’Atlanta in fiamme di Via col vento. Oggi invece sono più attratta dai film che sanno raccontare le diverse sfaccettature del rapporto tra un uomo e una donna, soprattutto nel suo dipanarsi temporale. Mi intrigano i film che scendono dentro un rapporto, magari consolidato, per vederne le esitazioni, le crepe, per raccontarne le ricompattazioni, per seguirne le nuove pulsioni”.
Ozpetek: ‟Io invece sono molto attratto dalle storie che si muovono a cavallo tra amore e amicizia, che magari raccontano un’amicizia cresciuta dopo la fine di un amore, nonostante il dolore che ha provocato. O quelle che mostrano un rapporto di amicizia che sembra sempre sul punto di diventare amore e si ferma un attimo prima”. Comencini: ‟Io sono più sul versante Harry ti presento Sally... una grande amicizia che diventa una grande storia d’amore. Anche perché con mio marito Riccardo è stato proprio così: prima amici poi innamorati”.
Ozpetek: ‟Ma tu non trovi che le grandi storie d’amicizia sono già della grandi storie d’amore? Nella Finestra di fronte, quello che lega Giovanna Mezzogiorno a Massimo Girotti non è certo passione o attrazione erotica, eppure quell’amicizia per me è una straordinaria storia d’amore. Per questo un altro dei miei film del cuore è In the Mood for Love, perché è una meravigliosa storia d’amicizia”.
Comencini: ‟Il film di Wong Kar-way è piaciuto molto anche a me. Proprio perché la coppia non oltrepassa mai il limite che le convenzioni sociali impongono loro. Se fossero finiti a letto avrebbero banalizzato tutto e la loro storia sarebbe diventata come tutte le altre”.
Ozpetek: ‟Tra di loro è l’amicizia che vince sull’amore. È indubbio che l’amicizia, quell’amicizia, contenga anche l’amore, ma si dà delle regole che le impediscono di manifestarsi come amore”.
Comencini: ‟Come succede nel film di Sofia Coppola Lost in Translation: è proprio il fatto che il desiderio non viene mai consumato fino in fondo a rendere il film così affascinante”.

Amore o sesso?
Ozpetek: ‟Sembrerebbe quasi che al cinema le storie d’amore più belle siano quelle infelici, quelle in cui l’amore non arriva mai al suo compimento totale, all’appagamento...”.
Comencini: ‟È vero per i film nei quali l’amore si identifica con il sentimento. Ma c’è anche un amore che ha bisogno del sesso per esprimersi. Probabilmente al cinema l’amore che non puoi mostrare nel suo diventare passione finisce per colpire maggiormente l’immaginazione dello spettatore. Ma anche quello fatto di carne e sesso ha una sua indubbia forza. Dipende da come lo si fa vedere”.
Ozpetek: ‟Io non penso di essere il regista adatto per raccontare la componente sessuale dell’amore. Nelle sceneggiature dei miei film esistevano delle scene di sesso, scritte anche piuttosto dettagliatamente. Ma non sono mai riuscito a girarle. Ho sempre sentito dentro di me il richiamo di un pudore che mi ha impedito di entrare troppo nella sfera dell’intimità sessuale”.
Comencini: ‟Il problema delle scene di sesso è sempre quello di non cadere nel voyeurismo. Nella mia carriera di regista penso di averne azzeccata almeno una, quella tra la Ceccarelli e il suo amante in Il più bel giorno della mia vita. Perché non la vedi mai come potrebbe vederla un osservatore esterno, che sta lì a spiare due che fanno l’amore. No, ho cercato di trasformare la macchina da presa nell’occhio di chi sta facendo l’amore, che del proprio partner vede solo dei frammenti di corpo. Non mi sono messo nei panni di chi osserva ma di chi è coinvolto. E penso di aver raggiunto quello che volevo esprimere”.
Ozpetek: ‟Se devo fare un esempio di come il cinema può raccontare il sesso, mi viene in mente Lezioni di piano della Campion, quando Harvey Keitel sfiora la gamba di Holly Hunter toccando il buco che ha nella calza. Sono convinto che anche per raccontare la sfera sessuale, la metafora sia ancora il modo migliore”.
Comencini: ‟A volte è vero anche il contrario. Pensa ad Intimacy di Patrice Chéreau. Praticamente ci sono sempre due corpi nudi in scena, dall’inizio alla fine del film. Ma l’effetto sullo spettatore è come quello di chi si trova all’interno di un campo di nudisti: dopo un po’non ti accorgi nemmeno più che i corpi intorno a te sono nudi. E in questo modo Chéreau riesce a usare il sesso per raccontare il sentimento. Alla fine c’è un tale calore in quei corpi nudi che l’amore vince su tutto”.
Ozpetek: ‟Recentemente c’è stato un film che secondo me ha saputo raccontare sesso e sentimenti insieme ed è stato A History of Violence di David Cronenberg. Ci sono due scene d’amore nel film, la prima più dolce, con la moglie che si traveste da cheerleader (ragazza pon-pon, ndr) per eccitare il marito con il ricordo, la seconda più violenta, dove lui possiede lei quasi con rabbia, sulle scale. Sono due scene bellissime e strazianti insieme perché attraverso una doppia scena di sesso riescono a spiegare allo spettatore due modi diversi ma complementari di amare l’altro”.
Comencini: ‟Il film di Cronenberg mi ha convinto a metà. Nella seconda parte prende troppo l’andamento del film di genere e proprio la seconda scena d’amore, quella sulle scale, mi sembra che sia raccontata sottolineando un po’troppo il compiacimento della donna di fronte alla violenza del marito. Come se anche lei se ne fosse fatta contagiare. Confesso di preferire la commedia per raccontare l’amore. Anzi, faccio fatica a scindere l’amore dalla commedia”.
Ozpetek: ‟Io invece non so resistere al fascino dell’amore infelice. Tra i miei film del cuore non potrei non mettere Splendore nell’erba di Kazan, dove la morale colpevolizza a tal punto il desiderio sessuale dei giovani da spingerli quasi alla follia.”.

I film d’amore italiani
Comencini: ‟Hai notato che, al di là degli esempi che abbiamo fatto con i nostri film, non abbiamo ancora citato un grande film d’amore italiano? Non dico che non esistano però poco ci manca. Non c’è un titolo che salti immediatamente alla memoria. Forse l’unico è Viaggio in Italia di Rossellini”.
Ozpetek: ‟Quello è anche uno dei miei preferiti. La scena negli scavi di Pompei, dove la Bergman vede il calco dei due amanti sorpresi dall’eruzione del Vesuvio abbracciati e bloccati per sempre in quell’atteggiamento, equivale a una vera e propria dichiarazione d’amore. Che poi si trasformerà nell’abbraccio finale, all’interno della processione, quando marito e moglie finalmente si ritroveranno”.
Comencini: ‟Certo, quella scena non si dimentica, ma in generale non ci sono molti film italiani che parlano solo d’amore. Mi viene da citare papà con La ragazza di Bube: aspettare un uomo in carcere è la dimostrazione d’amore più grande che si possa dare. Ma anche lì l’amore si intreccia alla descrizione dei drammi in cui si dibatteva l’Italia del dopoguerra. Anche Visconti ha fatto dei grandi film d’amore: Senso è una straordinaria, folle storia d’amore, ma c’è dell’altro. E che altro!”.
Ozpetek: ‟Per me anche Rocco e i suoi fratelli è uno straordinario film d’amore. La scena tra Renato Salvatori e Annie Girardot all’Idroscalo è straziante tanto è bella: difficile raccontare con più intensità la passione che ti porta addirittura a distruggere l’altro, ad ucciderlo”.
Comencini: ‟Eppure anche questi esempi, altissimi, confermano la difficoltà tutta italiana di girare storie d’amore pure e semplici. Noi italiani non abbiamo mai fatto qualcosa di simile a Love Story. Abbiamo sempre sentito il bisogno di immergere l’amore dentro qualche cosa d’altro, di circondarlo con letture sociali, storiche, politiche. O con una buona dose di risate e d’ironia”.
Ozpetek: ‟Noi non siamo stati capaci di fare film come Breve incontro di David Lean, ma neppure come Innamorarsi di Grosbard, che non sarà un capolavoro ma riesce a dirci qualche cosa dei nostri sentimenti. Difficile trovare una spiegazione a queste mancanze...”.
Comencini: ‟Tutta la grande tradizione del cinema italiano sembra aver avuto paura dell’amore: cercava sempre un contesto dentro cui raccontare una storia d’amore e finiva che quel contesto diventava più importante di tutto. Tu sei uno dei pochi, almeno recentemente, che ha cercato di raccontare storie d’amore dove l’amore è davvero l’elemento centrale e preponderante. Io, che pure penso di essere molto interessata a storie a due, non sono mai riuscita a fare un film che raccontasse solo la storia di un innamoramento o di un amore. Curioso”.
Ozpetek: ‟In Italia c’è stato un grande registe di storie d’amore ed è stato Raffaello Matarazzo. I suoi melodrammi, da Catene a Tormento ai Figli di nessuno, hanno fatto piangere mezza Italia negli anni Cinquanta. Ma anche qui, forse, il vero tema dei suoi film non era l’amore quanto l’impossibilità dell’amore”.
Comencini: ‟E poi c’è Bernardo Bertolucci, il più bravo tra i registi italiani a raccontare il sesso oltre ai sentimenti. Ultimo tango a Parigi è una pietra miliare in questo campo e in quanto ad erotismo praticamente non c’è un suo film dove sia assente, da Il tè nel deserto a Io ballo da sola a The Dreamers”.
Ozpetek: ‟L’eros è una componente centrale delle sue storie. Ma la sua grandezza è anche la dimostrazione della sua unicità e della sua eccentricità nel nostro panorama. In generale in Italia scatta come una specie di censura, che a volte è anche solo ironia, e che ci ferma di fronte alla descrizione dell’amore come sesso. Pensa a I segreti di Brokeback Mountain: che forza, che energia c’è nel descrivere quell’amore. Dov’è l’equivalente in Italia?”.
Comencini: ‟Finiamo sempre per mettere qualche cosa d’altro nei nostri film, che rimpiccioliscono lo spazio dedicato all’amore. Siamo un po’ossessionati dall’idea che una storia d’amore da sola non basta mai. Forse è una specie di carattere nazionale che ci spinge a un certo understatement di fronte a questo tipo di argomenti. Invece andiamo forte sulla storia del peccato: lì non ci batte nessuno”.
Ozpetek: ‟E questo nonostante l’Italia sia universalmente riconosciuta come il paese dell’amore”.
Comencini: ‟Stavamo per dimenticare Antonioni. Anche lui ha girato delle grandi, delle grandissime storie d’amore. Mi ricordo che quando ho visto per la prima volta Identificazione di una donna ho immediatamente pensato che quel regista conosceva le donne e sapeva raccontarle”.
Ozpetek: ‟Difficile trovare una storia d’amore più forte di Cronaca di un amore o di quel finale dell’Eclisse, quando nessuno dei due protagonisti si presenta all’appuntamento. Ma forse il regista italiano che ha saputo toccarmi di più con un film sull’amore è stato Valerio Zurlini. Quando ho visto La prima notte di quiete, con quell’indimenticabile Alain Delon, che naturalmente mi ha fatto versare fiumi di lacrime, ho deciso che la mia strada sarebbe stata il cinema. E sono venuto a cercare lavoro in Italia perché Zurlini era italiano”.
Comencini: ‟Zurlini è un altro di quei grandi registi che oggi si tende un po’a dimenticare. Però confesso che come spettatrice non so resistere al film-polpettone. Pensa al Dottor Zivago, quando loro stanno in quella capanna finta, con la neve finta che non smette mai: è tutto finto ma le lacrime che ti strappa sono vere, verissime”.
Ozpetek: ‟Se dobbiamo parlare di polpettoni allora ammetto di non saper resistere a La mia Africa. Lo guardo come si può prendere un tè con le amiche, come un cosa un po’ fanée ma che possiede una sua grazia nascosta, a cui comunque non riesco a mai dire di no. E la scena in cui Meryl Streep implora il governatore di concederle la terra per i suoi amati neri e invece dell’uomo è la moglie che le dà la sua parola d’onore, lì di solito mi sciolgo. E non ti parlo di Fiori d’acciaio...”.
Comencini: ‟Anch’io, anch’io ho un debole per Fiori d’acciaio, con quel coro di donne tutte irresistibili e bravissime. Altro che televisione. Quella è la vera soap!”.
Ozpetek: ‟Comunque, per tirare le somme. Penso di poter dire che i miei tre film d’amore preferiti siamo Aurora, La prima notte di quiete e La mia Africa. Fuori classifica, Viaggio in Italia”.
Comencini: ‟E per me, Via col vento, Il dottor Zivago e Io e Annie. E naturalmente Viaggio in Italia”.

Cristina Comencini

Cristina Comencini nasce a Roma nel 1956. Figlia del regista Luigi Comencini e madre di Carlo, Giulia e Luigi, esordisce al cinema come attrice nel 1969, diretta dal padre in …