Vittorio Zucconi: Cartoline dall’orrore

17 Febbraio 2006
Come un piccolo tassello nel mosaico in costruzione di questa guerra in corso dall’11 settembre del 2001, le nuove cartoline dall’abisso di Abu Ghraib aggiungono in fondo poco, dettagli a un’immagine che ormai vediamo bene, ed è il ritratto dell’odio assoluto che ogni uomo, e ogni donna, messo nelle condizioni giuste, può esprimere. È lo stesso distillato devastante di disprezzo, di disumanizzazione, di razzismo, di cecità spirituale, di violenza per la violenza, che abbiamo visto nelle testa mozzata di Nick Berg, nell’assassino di Fabrizio Quattrocchi, nello sguardo degli "shaid" che lasciano il loro testamento video prima di farsi saltare dentro un ristorante e che ritroviamo negli sguardi eccitati, allucinati, orgasmici di questi normalissimi ragazzi e ragazze americani davanti a uomini che per loro sono diventanti soltanto pollame, simboli, giocattoli. Queste sono le vere vignette sataniche, le bestemmie contro l’umanità, che alimentano la fornace dell’odio. Ce ne sono molte altre, e peggiori, nei cassetti del Pentagono e del Congresso. Se non escono ancora tutte, o se escono con lo sgocciolio delle fughe ai media, è perché la Casa Bianca lotta accanitamente nei tribunali con le organizzazioni per i diritti costituzionali e umani, per tenerle sotto chiave. La loro pubblicazione, compresi alcuni filmati che non sono mai sfuggiti dai cassetti, non cambierebbe molto nel quadro di quella "villa triste" saddamita che i comandi della forza di invasione decisero, scelleratamente, di utilizzare per rinchiudere le migliaia di iracheni rastrellati come ‟presunti terroristi” e ‟combattenti nemici”. Se l’amministrazione americana resiste è per una ragione ufficiale e una reale. La spiegazione ufficiale è che diffonderle non servirebbe ad altro che ad alimentare la propaganda del nemico, dunque ammettendo implicitamente che esse sono istantanee da un horror film che contrasta con la sceneggiatura un tempo cara ai neo con di un popolo liberato da un barbaro regime e restituito al diritto, all’habeas corpus e alla giustizia. Ma la ragione vera è nelle ripetute e formali assicurazioni pubbliche sempre date da Bush secondo il quale ‟l’America non tortura”. Invece, e purtroppo, questa America può anche torturare, o appaltare le torture a nazioni e servizi di sicurezza compiacenti. Poiché un’immagine vale come mille parole, secondo la classica formula, ogni nuova foto demolisce quei faticosi e contorti ragionamenti da azzeccagarbugli che l’avvocato della Casa Bianca Alberto Gonzales, poi premiato con la promozione a segretario della Giustizia, offrì al Presidente per insegnargli come violare la Convenzione di Ginevra, senza ammettere di averla violata. Lo scandalo non sta dunque in quello che gli scatti mostrano, grazie a qualcuno che riprendeva i prigionieri come ‟souvenir”, come il ricordo di una gita a Dinseyland, da far vedere a parenti e amici annoiati, al rientro. Quella follia, quella perdita di ogni sentimento di dignità che travolge sempre chi nega dignità al nemico, sono ancora parte sfortunatamente comprensibile del nostro comune bagaglio umano. Tutte le guerre, antiche e moderne, tradizionali o asimmetriche, che evochino, esplicitamente o sottotesto, scontri epocali di civiltà, conflitti di religione, duelli fra razze o ideologie, sempre conducono alle teste mozzate e alle torture più atroci. I francesi possono ricordare la loro Algeria, come gli americani della ultima grande generazione sanno che sul fronte Occidentale, fra tedeschi, italiani, inglesi e Gi’s mai si videro, pur nella battaglia furiosa, le atrocità del fronte Orientale, fra russi e tedeschi o del teatro del Pacifico, fra giapponesi e americani. Lo scandalo è il grottesco negazionismo dietro il quale Bush e la sua corte, primo fra tutti il grande cacciatore bianco di quaglie, il vice Dick Cheney, e il sempre più screditato ministro della Difesa Rumsfeld, si arroccano per negare l’evidenza o per scaricare sulle "mele marce", sui loro soldati, sul terminale che sta a contatto con un nemico terribile, ogni torto. Il principio della "accountability", della responsabilità dei superiori per le azioni dei sottoposti, che la destra americana tanto sventolò contro l’irresponsabile Clinton, si ferma in occasioni come queste, nelle quali il solo rimedio efficace non sarebbe mandare in carcere una povera contadina in uniforme come Lynn England, quella che punta la pistola sui genitali, ma dimostrare che neppure il sospetto che l’ok sia arrivato dall’alto può essere tollerato. Nessuna nazione, nessun esercito impegnato in una guerra sordida e oscura come quella che fu dichiarata con il massacro di tremila innocenti cittadini del mondo nell’altoforno di Manhattan, è mai immune da comportanti ignobili, da atti infami, da violenze e da sogghigni satanici. La forza, questa sì autenticamente superiore delle democrazie e dunque in prima istanza degli Stati Uniti che della democrazia si vogliono esportatori, è nell’ammettere i propri errori, nel riconoscere e cauterizzare con la verità il demone che sta dentro noi tutti. Non è la tortura di prigionieri a rischiare la corruzione dello spirito americano in questa guerra e a nutrire l’antiamericanismo che dilaga nel mondo. è il rifiuto di essere e di comportarsi da americani come noi li ammirammo nel del duello con l’impero della menzogna. Sono il negazionismo e il giustificazionismo dietro il quale questa Presidenza si trincera di fronte a ogni evento imbarazzante, sia esso l’impallinamento di un avvocato, lo scempio costituzionale di Guantanamo o lo horror film di Abu Ghraib, che rischiano di corromperne l’anima e di demolirne il prestigio nel mondo, più di quanto il nemico possa sognarsi di fare con le sue lame e le sue bombe umane.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …

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