Giorgio Bocca: Il piccolo Cesare e l'impero americano

17 Marzo 2006
Dicono: non parlate male di Berlusconi, fate il suo gioco. Ma che altro vuole un ‟piccolo Cesare” se non che si taccia sulle sue malefatte? E può anche essere che le malefatte demagogiche gli trovino consensi, ma come toglierselo dai piedi se tutti tacciono? Come spiegare che razza di personaggio è il capo del governo italiano se non si parla del discorso banale e servile da lui tenuto al Congresso americano, in realtà una platea messa assieme con i visitatori di giornata? Un discorso iniziato e finito con dichiarazioni apodittiche buone forse per ingraziarsi una platea sciovinista non per servire la verità e la storia. "Solo la democrazia e la libertà", ha ripetuto più volte, "hanno dato ai popoli pace e ricchezza". Ma tutti sanno che non è possibile esportare la democrazia e la libertà e che quasi sempre finisce come a Fallujia, dove la si è esportata con le bombe al fosforo e la distruzione della città.
La storia è piena di democrazie in miseria e di autocrazie ricche, anzi la feroce regola è che le democrazie ricche lo siano alle spalle dei popoli che opprimono o sfruttano, a meno che si abbia la faccia tosta di affermare che l'impero americano tiene i suoi eserciti nel mondo intero per spirito filantropico.
Si è appena chiuso il periodo colonialistico e non sembra davvero lecito parlare dei regni belga, olandese, inglese e della democratica Repubblica francese come di portatori di libertà nell'universo mondo. L'America, ha ripetuto fra gli applausi il nostro ‟piccolo Cesare”, è il ‟paese della libertà”. Con le eccezioni del Patriot Act, di Guantanamo, delle carceri della Cia sparse nei continenti, degli imam sequestrati in Italia o in Inghilterra. Certo, più democratica e libera delle dittature con la svastica e la falce e martello, ma molto diversa dalle descrizioni idilliache e dalla propaganda hollywoodiana. L'America che ci ha salvato dall'inferno nazista! Certo, ma allora diciamocela tutta la verità, diciamoci che l'inferno nazista e quello fascista e gli altri franchista o romeno o slovacco erano stati creati e sorretti dalle borghesie liberali che ora frequentano i raduni di Forza Italia.
La Russia di Stalin era un regime feroce quanto il nazismo, ma se si parla come ha fatto il nostro dei meriti e della gratitudine per la fine della notte hitleriana, diciamocela ancora la verità, senza il sacrificio di milioni di soldati sovietici non sarebbe mai avvenuta. E attribuire questa vittoria agli aiuti che il mondo libero mandò a Murmansk è una forzatura propagandistica, tutti sappiamo come era di acciaio grezzo ma fortissimo l'Armata rossa che arrivò al bunker di Berlino.
Anche chi scrive è grato agli americani per la fine della occupazione nazista e non ha dimenticato quel mattino di nebbia e di gelo dell'agosto 1944 in cui vide apparire sul colle dell'Agnello in val Varaita un reparto di guastatori americani. Ma non può nemmeno dimenticare che i neofascisti che sono ora al governo con il Cavaliere, stavano dall'altra parte e ci impiccavano se ci prendevano. E che insomma questo filo americano dei vecchi, dei nuovi e degli eterni fascisti è uno dei paradossi della storia, una di quelle dr les d'histoires che ci hanno stupito, ma a cui non ci siamo ancora abituati.
Il Cavaliere lasci perdere le gratitudini antifasciste, rischia delle gaffes colossali come la volta che di papà Cervi, il padre dei sette fratelli di Reggio Emilia fucilati dalle brigate nere, disse: "Voglio conoscerlo questo papà Cervi". Ed era morto e glorificato da anni.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …