Michele Serra: Una parolaccia come bandiera

05 Aprile 2006
Sono uno dei coglioni (speriamo una valanga) che andrà a votare per l'Unione, nella speranza di chiudere i conti con gli anni più umilianti, e meno spiritosi, della storia repubblicana. La qualifica di coglione, che ho l'onore di condividere con una buona metà degli italiani, mi è stata data ieri, molto autorevolmente, dal presidente del Consiglio, in uno di quegli sbocchi di tracotanza che, pochi minuti dopo, il premier è solito definire "ironici", con una battuta involontaria su se stesso.
Come chi travolga un pedone sulle strisce e poi gli dica: guardi che era solo una metafora. Non mi sono offeso. Se c'è una cosa che abbiamo imparato, pur nello sbigottimento ininterrotto, da quando Berlusconi è sulla scena, è a valutare il piccolo calibro dei suoi giudizi e delle sue sortite. È un piccolo calibro che, in politica, ha prodotto danni paurosi. Ma nella psicologia collettiva dell'Italia che a Berlusconi si oppone, produce soprattutto un inevitabile sentimento di alterità e, ahimé, di disprezzo.
Dico ahimé perché sentirsi superiori non aiuta mai a ragionare bene, men che meno su se stessi, e anzi può accecare. D'altra parte, come tenere a bada l'istinto di preferirsi, quando l'antagonista riesce ad abbassare tutti i parametri, dico tutti, del conflitto politico e della vita civile di un Paese?
In questi anni Berlusconi, con una grossolanità di modi e di spirito che non eravamo certo abituati a considerare "di governo", perfino negli anni dei peggiori governi, ha sistematicamente sostituito al dibattito la propaganda, al cittadino il cliente, al giornalista il servo, alla polemica la smargiassata, alla cultura la barzelletta. Non gli intellettuali con la puzza sotto il naso, ma molti milioni di normalissimi cittadini (di sinistra, ma non solo), nell'opporsi a un siffatto leader, si sono sentiti continuamente spiazzati dal progressivo incarognirsi del clima, dalla bassezza della polemica, dalla violenza puerile delle reazioni. E poiché è perfettamente vero che uno dei vizi storici della sinistra è una certa alterigia, era materialmente impossibile che Berlusconi non lo aggravasse, quel vizio.
Ora, pensandoci bene, gli elettori di centrosinistra hanno almeno due buoni motivi per digerire con una certa leggerezza l'insulto di Berlusconi. La prima, evidente a chiunque, è che in un solo minuto di catastrofe retorica il premier ha distrutto l'effetto-Ici (pompatissimo dai suoi giornali e telegiornali), regalando al centrosinistra un ottimo argomento in più (hai visto chi è il vero fanatico? chi il vero illiberale?) e ai giornali, per due o tre giorni, titoli di testa che offuscano la campagna berlusconiana sul fisco allegro. L'esultanza degli stati maggiori dell'opposizione, già pochi minuti dopo i primi lanci di agenzia, era alle stelle.
Il secondo motivo, già ben percepibile ieri su Internet, è che l'epiteto di coglione è stato immediatamente fatto proprio, con orgogliosa ilarità, da moltissimi elettori dell'Unione, con le prime manifestazioni, in diverse città italiane, di "coglioni autoconvocati". Si sa che esiste una lunga tradizione di parole denigratorie, o di scherno, che vengono beffardamente ribaltate da chi ne è fatto oggetto. Ora, rivendicare la qualifica di coglione può aiutare l'Italia che non sopporta più Berlusconi, e lo vive come un attentato alla dignità del Paese, a stemperare sia la gravità del momento sia quella del proprio ruolo.
Sentirsi molto migliori di Berlusconi in quanto cittadini, o in quanto italiani, o in quanto rispettosi delle leggi, effettivamente è molto più sentenzioso, e faticoso, e perfino antipatico, che sentirsi migliori di Berlusconi in quanto "elettori coglioni". L'idea, poi, che sia un esercito di coglioni a poter sgominare l'Unto dal Signore, è massimamente esaltante.
Quanto a lui, pover'uomo, le sue spiegazioni, a frittata fatta, come spesso accade aggravano la situazione. Non si scusa per avere insultato metà degli elettori, si scusa per il termine usato. Come se dire "chi vota a sinistra è scemo" fosse più o meno grave, per un capo di governo, che dire "chi vota a sinistra è coglione". Come se fosse l'ineleganza formale, a fare scandalo, e non la sostanza della frase, che rivela una cultura democratica, e un rispetto civile, da bassifondi. Il suo problema è che raramente sa di che cosa si sta parlando. Però ne parla lo stesso, e questo, da sempre, è la freccia più acuminata nell'arco dei suoi avversari.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …