Curzio Maltese: Ritorno al futuro

14 Aprile 2006
Davvero non finirà mai questa demenziale campagna elettorale, postuma anche al voto? L’ossessione del passato, che è stata la natura più profonda del berlusconismo, continua nel dopo elezioni. Si capisce che un Berlusconi incapace di accettare la sconfitta, prigioniero della nostalgia di un potere quasi assoluto, voglia rinchiudersi nel fortino del suo perenne ‘48 e lanciare la disperata battaglia ai ‟brogli comunisti”. Coerente sino alla fine con la sua missione storica: aver bloccato per dodici anni la crescita del Paese. Meno comprensibile è che al gioco si prestino i nuovi vincitori. Sono ancora lì in televisione a rispondere alle accuse della destra, come in tutta la campagna elettorale, invece di rispondere ai cittadini. Si sono scusati di esistere per un decennio e ora si scusano d’aver perfino vinto. Che senso ha? Comunque si guardi al risultato elettorale, il 9 e 10 aprile ha vinto la voglia di cambiare. Soprattutto nel voto dei giovani che è stato decisivo. Ora il compito dell’Unione, ignorato per larga parte della campagna elettorale, è di cogliere e dare risposte alla volontà di cambiamento, lasciare alla destra l’ossessione del passato e occuparsi del futuro.
Occorre che i vincitori recuperino la propria agenda e sulla base di questa si rivolgano direttamente al Paese. Aver vinto male non significa non poter governare bene e a lungo. Grandi stagioni politiche sono cominciate con un pugno di voti di vantaggio. Bush ha vinto la prima volta grazie a seicento voti in Florida e prima di lui l’era Clinton s’era inaugurata con la più bassa percentuale di consensi mai ottenuti nella storia da un inquilino della Casa Bianca. Altri esempi europei non mancano, da Blair a Schroeder a Zapatero. Il tratto che accomuna queste parabole, così diverse, è l’esser riusciti a comunicare subito all’opinione pubblica, favorevole e contraria, il senso di una profonda svolta nello stile di governo, l’inizio di una nuova stagione. Di contro, il fallimento del berlusconismo, pur con tutta la forza del suo radicamento nella società e con la potenza del suo apparato mediatico, è maturato fin dai primi mesi del 2001 e si è trascinato per cinque anni, con l’inutile impennata finale.
Nei primi cento giorni di Prodi si vedrà se la vittoria dell’Unione segna un passaggio d’epoca verso il futuro. L’Italia politica è spaccata in due ma tutti i quaranta milioni di elettori, oltre l’appartenenza ideologica, pongono al nuovo governo richieste comuni. La prima è avere finalmente un governo che mantenga le promesse elettorali. Berlusconi aveva promesso una riduzione delle tasse che non è mai arrivata. Prodi ha detto che taglierà di cinque punti il prelievo fiscale sugli stipendi. Ora può darsi che l’eredità economica lasciata dai governi Berlusconi-Tremonti si riveli assai peggiore del previsto. Ma milioni di lavoratori dipendenti, la categoria che si è più impoverita negli ultimi cinque anni, si aspettano che la promessa venga in ogni caso onorata. Se così sarà, Prodi potrebbe consolidare il suo governo molto di più che non andando a caccia di transfughi parlamentari. Altrimenti, toccherà assistere a un’altra lunga agonia politica.
Una seconda risposta che si attende da Prodi è sui giovani. Sono la chiave della vittoria dell’Unione e forse anche l’unica leva per combattere la sfida contro il declino industriale del Paese. Non esiste un’altra nazione europea, comprese Spagna e Grecia, dove i giovani contino meno nella società, sia così mal pagati e dipendenti dalla famiglia d’origine. Ci sono la scuola, la casa, il sostegno alle imprese giovanili e via elencando. Una volta chiusa l’ultima verifica sull’ultima sezione elettorale di Osio Sotto, si spera che la politica trovi il tempo di esaminare questi problemi del tutto oscurati in campagna elettorale.
Un altro banco di prova per il prossimo governo è la questione degli immigrati. La legge Bossi-Fini ha fallito nella sua pretesa di garantire maggiore sicurezza e con questa legge è finita l’idea che l’Italia si debba impegnare a frenare invece che a organizzare i flussi migratori. Lo stesso Fini a un certo punto s’era è sganciato dall’approccio ideologico tradizionale della destra, portando in Parlamento una legge sul voto agli immigrati regolari. La vecchia proposta firmata dal segretario di An, non dai no global o dai centri sociali, offre un buon punto di partenza per costruire un dialogo bipartisan con la nuova opposizione. In ogni caso, vista l’esperienza del ‘96, sarebbe un segnale significativo cominciare il dialogo dal voto agli immigrati piuttosto che dai soliti temi da "inciucio", come giustizia e televisioni.
A proposito di televisioni, gli italiani sono abituati a giudicare i nuovi governi dal modo in cui mettono mano alla Rai. Berlusconi aveva giurato di non spostare una pianta in viale Mazzini e l’ha stravolta, riempita di cortigiani ai vertici, dalla sua segretaria personale allo suolo degli aedi giornalistici. Nel programma dell’Unione sono scritte magnifiche parole sulla necessità di liberalizzare il sistema dell’informazione, televisiva e non, di sottrarre il servizio pubblico all’obbligo di servitù ai partiti eccetera eccetera. Bene, fatelo davvero, non lottizzate la Rai. Si compiano scelte professionali di alto livello. Sarebbe un messaggio immediato di un modo realmente nuovo di concepire la politica.
L’elenco potrebbe continuare. Sono tanti gli interrogativi sul futuro che interessano l’opinione pubblica. Molto più dell’ossessione sul passato che occupa ancora la scena, le recriminazioni, le accuse. La campagna elettorale è finita, gli italiani hanno votato, è l’ora di calare il sipario sul teatrino.

Curzio Maltese

Curzio Maltese (1959-2023) è stato inviato per “La Stampa” e poi, dal 1995 al 2021, editorialista a “la Repubblica”. Nel 2022 ha scritto per “Domani”. È stato scrittore, autore per …