Vittorio Zucconi: A New York si celebra il funerale del gossip

20 Aprile 2006
È probabilmente soltanto gossip, ma a New York si mormora che il gossip sia morto. Ucciso dalla sempre presente tentazione di usarlo per ricattare le vittime. Qualche erudito linguista crede che la parola gossip, pettegolezzo, abbia un’origine quasi religiosa, che venga da ‟godsib”, colui che ha con te un rapporto confidenziale, nel segno di Dio e del sangue. Ma non è a Dio che pensava Jared Stern, il più micidiale pettegoliere del più letto tabloid di Manhattan, il ‟New York Post”, quando chiese 220 mila dollari a un miliardario per non tormentarlo. Panico nelle redazioni, negli studi delle network, nel brodo primordiale dei blog su Internet e nelle facoltà di giornalismo dove si insegna un’etica professionale puritana che ancora oggi l’America dei Pulitzer finge di venerare. Chiudono in fretta pagine e rubriche di gossip, Stern è sotto inchiesta giudiziaria dell’Fbi per il non lieve reato di ‟tentata estorsione” oltre che cacciato dal ‟Post”, e qualcuno profetizza la fine di questo giornalismo da casco asciugacapelli o da spogliatoio di palestra che, come la pornografia o certi partiti, nessuno ammette mai di guardare o di votare. Secondo il classico contrappasso dell’inaffiatore inaffiato, il più temuto sputtanatore del giornalismo gossip è stato sputtanato come un dilettante. Se l’Fbi e la Procura di New York, forti di un video segreto e immediatamente diffuso dai pettegoli, arriveranno in tribunale, Jared Stern rischia la fine di un celebre predecessore, Foster Winan, che dalle pagine serissime del ‟Wall Street Journal” usava la propria rubrica di pettegolezzi di Borsa per gonfiare le sue azioni. Trascorse otto mesi in un carcere dal quale uscì per fondare, naturalmente, una scuola di giornalismo. Stern, sempre impeccabilmente vestito, spesso con il borsalino alla Walter Winchell, il giornalista che negli anni '50 inventò il gossip politico alla radio aiutando McCarthy a rovinare la vita a migliaia di presunti "comunisti", era il più bravo di tutti. Era la talpa che sulla "Page Six", la sesta pagina del quotidiano di Rupert Murdoch, il caimano australiano dei media, avvinceva i passeggeri del metrò e mandava di traverso l’ovetto alla coque al popolo di Park Avenue, con quelle pseudonotizie del genere ‟e che ci faceva il signor X a cena con una appariscente ragazza bionda ieri sera da Nobu?”. Il direttore del ‟Post”, Johnson, lo adorava. I lettori lo divoravano. E le sue vittime, come il miliardario californiano Ronald Burkle pendolare fra Beverly Hills e Park Avenue tremavano. Burkle, impicciato in una storia di divorzi e relazioni con Sessa Von Richtofen, discendente del barone rosso di snoopyana memoria, era diventato il suo tormentone preferito. Un conoscente comune li mise in contatto. I due si incontrarono, si saggiarono. Stern gli concesse un contentino, abbassò un po’ la fiamma sotto la pentola in cambio di 60 camicie comperate dalla linea di abbigliamento "Teschio e Ossa" che aveva creato. Poi l’offerta della protezione definitiva, del pizzo, come si direbbe in altri continenti: 100 mila dollari in contanti, subito, niente bonifici bancari o assegni per favore e poi 10 mila al mese per un anno. 220 mila dollari, sempre "cash". Silenziose e nascoste da investigatori privati, le telecamere hanno ripreso la scena, che Stern ha ammesso essere stata ‟un errore di valutazione”. Il resto del giornalismo newyorchese ha esultato e tremato. Il concorrente diretto, il ‟Daily News” ci fa la prima pagina da giorni, godendo dei guai altrui. Il ‟New York Times”, sopravvissuto agli scandali che lo scossero due anni or sono con il brillante reporter di colore che inventava i reportage, cancella la propria versione di gossip, chiamata "Boldface", un gioco di parole tra "faccia tosta" e caratteri di stampa neri. E tutti, come bambini sorpresi a rubare le caramelle, promettono di far meglio e giurano di non essersi mai abbassati a tanto. Non è vero, naturalmente. La tradizione del pettegolezzo giornalistico è antica e con essa i frutti tossici dei piccoli, quotidiani ricatti e manipolazioni, quelle che Giorgio Bocca definiva ‟le notizie del diavolo”. Il critico dei media Howard Kurtz, rammenta sul ‟Washington Post” ai grandi reporter della politica che la pratica di favorire un mammasantissima in cambio di notizie e di rumors, di voci, è il pane quotidiano di personaggi altezzosi come Bob Woodward, il super segugio del Watergate, o Judy Miller, la giornalista che si prestò a spacciare sul ‟New York Times” le bufale della Casa Bianca in cambio dell’accesso al palazzo. Louella Parson, per mezzo secolo signora di Hollywood, ricattava attori omosessuali, come Rock Hudson, minacciandoli di rivelazioni se non le avessero passato soffiate. Le network americane rigurgitano di programmi sui segreti e i vizi delle celebrities. E Matt Drudge cambiò la storia della politica americana rivelando per primo, e senza conferme, la voce di una "storia" di sesso fra una stagista della Casa Bianca e il presidente Clinton. Il moto di pentimento collettivo che oggi scuote i media americani di fronte alla spregiudicatezza criminale del pettegoliere di Murdoch passerà, perché troppa è la fame dei lettori per il giornalismo da sciampista. Raccontano gli egittologi, che in alcuni geroglifici trovati nelle piramidi, l’autore spifferava di amori proibiti e trasgressioni alla corte del Faraone. Anche professori di giornalismo ammettono che il gossip può svolgere una funzione educativa e morale, tenendo i "ricchi e famosi" sotto tiro. E proprio il caso di Stern lo conferma: chi di gossip ferisce, rischia di gossip morire.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …

La cattura

La cattura

di Salvo Palazzolo, Maurizio de Lucia