Maurizio Maggiani: Il mio Strega che parla di Adorna

07 Luglio 2006
Mia madre è morta nella notte tra il 6 e il 7 agosto dello scorso anno.
Mentre lei moriva io ricevevo gli applausi generosi, del pubblico convenuto a Marciana Marina (isola d'Elba) per la presentazione del romanzo vincitore della appena conclusa edizione del Premio Strega. Pura coincidenza.
A meno che non si sostenga che le coincidenze non esistono. C'è chi lo fa. Convintamente.
AI riguardo di questo episodio della mia vita e della vita di mia madre io non nutro sensi di colpa. Non al momento. A un anno di distanza e in prossimità dell'anniversario, sono ancora convinto che comunque non sarei stato con lei quella notte. Né io né mia sorella.
Il fatto è che non era previsto che morisse. Non rientrava nel panorama degli eventi possibili. Stava molto male ma questo non signifìcava un granché; era un semplice imprevisto che andava messo al suo posto. Mia madre aveva deciso di vivere ancora almeno venti anni e aveva programmi molto dettagliati al riguardo.
La cosa che può sembrare incredibile è che ci credevamo tutti quanti: la sua volontà si confaceva con l'ordine natulale delle cose. Chi ha avuto, o ha, una madre del genere di quella che ho avuto io, penso che possa capire.
Il suo nome di battesimo è Maria, ma questo riguarda solo il prete e l'ufficiale d'anagrafe. Il suo vero nome, quello con cui era universalmente conosciuta e chiamata è Adorna. Adorna è il nome che gli ha imposto suo padre, mio nonno Garibaldi. Ha voluto darIe questo nome per ricordare e omaggiare la sua mula preferita, Adorna appunto.
Mia madre ha ritenuto di crescere in accordo con il suo nome; il suo era il carattere di una mula. Del resto il nome di battesimo di suo padre è Armando, ma anche questa era solo una faccenda anagrafica. Il suo vero nome è sempre stato Garibaldi, e come Garibaldi ha sempre ritenuto di doversi portare nella vita con grande fermezza e coraggio e testardaggine. Un mulo anche lui. [...]
Il suo funerale è stato di tipico stampo adornesco.
Non la funzione in chiesa, così pateticamente dimessa, così trasandata la voce del prete, così inverosimile il chierichetto con i capelli bianchi e l'artrosi. E se è il Dies Irae la canzone del momento - e che altro se non il Dies Irae? - non possono biascicarla un prete stonato e un vecchio catarroso. Il giorno dell'ira è una roba forte, una voce potente si leva dalle faville, un coro sgomento attende di essere giudicato. No, non le pratiche civili e religiose. Non l’obitorio con quelle vetrine d'esposizione di corpi in saldo di fine stagione. Non il carro funebre, quella leggiadra limousine per nababbi in gita turistica con deltro una poveraccia che non è mai salita sopra qualcosa ch non fosse la Topolino di sua sorella, la Panda di sua figlia, la Vespa di suo figlio.
Il vero funerale dell'Adorna è stato celebrato là, a casa sua, ed era degno di lei. Nel cimitero di San Lazzaro, frazione contadina del nobile paese di Castelnuovo, alla presenza di tutto il parentado. Con le cugine e i cugini fino al terzo grado, le sorelle e i nipoti, le amiche e le figlie e i nipoti delle amiche. [...]
All'improvviso, mentre veniva posato l'ultimo mattone si è alzata una tromba d'aria. Credetemi, è successo davvero. Questa sì una roba da Adorna. I vasi di fiori che volavano, la gente piegata in due, cielo viola intenso sul campanile, scrosci d'acqua irreparabili. E la famiglia in fuga. La famiglia fradicia e scompigliata in ogni suo membro, in ogni ordine e generazione.
L'Adorna, mia madre, ecco di cosa era capace.
Ci siamo visti tutti da mia zia Cesarina, la dolce, la mite. Per asciugarci, per nutrirci, per passare oltre. C'erano tortellini in brodo. c'era la gallina lessa. [...]
Pochi giomi prima che Adorna se ne andasse, io e lei ci siamo visti a quattr'occhi e abbiamo fatto una cosa importante, qualcosa del genere che è successo tra Nixon e Mao Tze Dong, tra Kennedy e Krushev, tra Coppi e Bartali.
Ci siamo detti che ci volevamo bene.
Non è stata una cosa da poco. Che la Mula e il Figlio maschio della Mula usassero esplicitamente questa espressione uno per l'altro, toccandosi, senza subordinate di alcun genere, senza dubitative - anche solo sottaciute. Che il figlio dicesse, semplicemente, ‟ti voglio bene”. e la madre . rispondesse ‟ar so che te me va ben”. questo era qualcosa che andava visto e sentito.
E il figlio ha baciato la madre, in sovrappiù. Ha baciato la madre per la prima volta da quando è stato libero di farlo, da quarant'anni almeno. L'ha baciata sulla fronte e sulla gota, come ai bei vecchi tempi i tigli baciavano le madri.
Ho fatto pace con mia madre, appena in tempo ma è accaduto. Ho fatto pace con la mula Adorna, ho consentito infine che lei fosse quello che era. Senza recriminare, senza precisare, senza badare ai particolari. L'ho fatto senza sforzo, accorgendomi nel farlo che mi piaceva così: sicuro che era bello farlo anche riservandole il diritto di non consentirmi in eterno di essere quello che sono.
Se non fossi stato suo figlio, quel suo figlio maschio unico in due generazioni di femmine, se lei non fosse stata l'Adorna, la mula con l'incarico di tramandare i fasti di una leggendaria consorella, sarebbe accaduto ben prima. Ma non impara: non si può chiedere tutto ai discendenti di Garibaldi. Quello che si può pretendere da loro è di saper chiudere i loro conti con la vita. E loro lo sanno fare.

Il viaggiatore notturno di Maurizio Maggiani

‟Il centro dell'Universo è rigurgito della Terra rappreso in purissimo cristallo. L'Hoggar. Semplicità.” Uno studioso delle migrazioni animali siede sul colle dell'Asekrem, contempla un tramonto stordito di colori e attende il passaggio delle rondini. In quel deserto – povero, essenziale, nudo – si…