Giorgio Bocca: Non riscrivete la Storia sul corpo del duce

07 Settembre 2006
Il corpo del Duce era il fascismo, senza il corpo del Duce non ci sarebbe stato il fascismo, sarebbe stato tutta un’altra cosa. Quando Volponi ha intitolato Corporale un suo romanzo ha certamente in qualche modo pensato alla corporalità italiana, romagnola del Duce. Un giorno sono stato a Predappio per vedere quanti Mussolini c’erano nelle strade e nelle piazze: quasi tutti come lui con quel petto grande e rotondo, da mostrare nudo sull’aia, per la mietitura dell’istituto Luce. Il fascismo era il corpo del duce la sua testa "quadra", il testone come lo chiamavamo di forma e di cocciutaggine. Ho un ricordo di quel testone stampato a inchiostro sui pilastri di corso Nizza a Cuneo, con l’elmetto in testa, truce ma non tanto, e lo ricordo assieme a Duccio Galimberti che passa per quei portici quasi correndo come se volesse sfuggire al testone che lo ha ridotto al silenzio, escluso dalla vita politica. Mi diceva un mio zio Mario che per essere stato in Argentina era considerato uno che conosceva il mondo: ‟Almeno il Duce è bello mica come quel piedi piatti di Ciano”. E neppure i cinegiornali del regime con le luci sbagliate e saltellanti neppure quelli di Salò, lividi, con adolescenti armati come banditi, con i ceffi da Brigate nere riuscivano a farlo brutto, anzi gli davano la bellezza crepuscolare che anche un partigiano riconosce al morto che cammina, di quello che era amato e ora sarà ucciso dai suoi. Un nipote del Duce Guido, figlio di Vittorio, grandi e grossi i due come il nonno, ma senza i suoi occhi, senza la sua testa, ha chiesto la riesumazione di Mussolini per sapere come fu ucciso da ‟quegli sporchi porcelli dei partigiani”. Questo insulto almeno è mussoliniano del Mussolini squadrista. Non la richiesta di tirar fuori il cadavere e quella inutile e stupida della verità. Perché non fa la minima differenza che il Duce sia stato fucilato assieme alla Petacci davanti al cancello di una villa sul lago di Como in divisa da Duce o nudo nella stanza da letto dove passò l’ultima notte. E il Mussolini Guido che ha passato la vita a far l’aiuto regista dei Fellini, dei Rossellini che immagino avranno avuto una loro soddisfazione di ex intellettuali del regime ad avere al loro servizio un parente stretto del Duce. E questo Guido nipote del Duce amico di registi famosi non ha ancora capito arrivato all’età della pensione, perché gli italiani e noi sporchi porcelli partigiani abbiamo fucilato suo nonno che era stato il padre bello, potente, adorato della nostra gioventù. Lo abbiamo ucciso proprio per questo perché aveva voltato le spalle a noi e alla sua memoria, perché era finito in una colonna tedesca che fuggiva sul lungo lago di Dongo, nascosto da un cappotto tedesco. Mai condanna a morte senza processo fu più unanime di quella, a destra come a sinistra, nell’Italia di quel 25 aprile non c’era italiano fuori dalla guerra civile che non pensasse l’ineluttabilità di quella condanna, che non pensasse che non esisteva altro modo per voltar pagina. Fu l’ultima volta a piazzale Loreto che vedemmo quel corpo quel torace ancora sporgente nel cumulo dei cadaveri quegli occhi ancora fiammeggianti e non fu anche per noi giustizieri un congedo indolore. Non fu per niente facile a quelli che allora erano sui venti anni separarsi dal corpo del Duce. Dalla sua voce. Quel pomeriggio del settembre ‘43 che eravamo da pochi giorni in montagna e dal braciere si era alzato un gran fumo che riempiva la stanza e in quel fumo da una radio militare da campo che gracidava uscì come in un cattivo incantesimo la sua voce, lui che diceva, mi riconoscete sono ancora qui. E noi che ci chiedevamo: ‟Ma è davvero lui?”. Ed era proprio lui e quella sua voce inconfondibile mescolava in uno straziante intreccio le memorie giovanili e l’orrore presente. Poi nei venti mesi della guerra senza prigionieri la figura del padre, il corpo del padre, la testa del padre che ci aveva guardato dagli stampi a inchiostro sulle pareti delle case divenne in parte ostile ed estranea, ma solo in parte perché in qualche modo non riuscivamo a capire perché fosse andato testardamente alla perdizione. Capisco che è molto difficile raccontare questi legami giovanili che ricevi senza possibilità di rifiutarli, di ignorarli che è quasi impossibile mettere d’accordo quel legame corporeo di anni in cui tutto si imprime indelebilmente e una vita intera da antifascista, ma questa è la storia: idee che possono cambiare ma anche odori, colori, corpi che non se ne vanno più via. Quanto al Mussolini Guido per cui siamo sporchi porcelli e uno dai gusti imprevedibili, uno che esenta dal suo disprezzo un solo antifascista, Massimo D’Alema perché ha detto che Mussolini andava processato. Storicamente una cosa impossibile.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …