Gian Antonio Stella: Il Mahatma Bondi e il digiuno per Retequattro

17 Ottobre 2006
Un giorno, per metter alla prova la sua dedizione, gli chiesero che cosa sarebbe stato disposto a fare, per il ‟suo” Silvio. Rispose: ‟Andare in carcere”. ‟Al posto suo?”, insistettero. ‟Non solo al posto suo”, si immolò: ‟Andrei in carcere per lui”. Va da sé che, quando ha annunciato di voler fare uno sciopero della fame per il Cavaliere, c’è chi ha malignato. Poi c’è chi ha riso e chi si è inchinato rispettoso. Ma non uno si è stupito: un gesto così poteva farlo solo lui, Sandro Bondi. Per ora l’ha solo annunciato, ma per cause di forza maggiore. Stremato da mesi di battaglia quotidiana, l’altra sera è stato colpito da un malore a Lucera, in Puglia e ha dovuto farsi ricoverare in ospedale per accertamenti. Tutto bene, per fortuna. Dimettendolo, gli hanno però raccomandato di riposare. Lui, dicono, non vuol sentir ragioni: il tempo di rimettersi un pò in forze, cosa che gli auguriamo tutti, e si metterà nella ossuta scia del Mahatma Gandhi. Daniele Capezzone, che come segretario dei radicali di digiuni se ne intende anche se non come il massimo esponente italiano del settore, Marco Pannella, è stato netto: ‟Al di là del merito e degli obiettivi, che tutti attendiamo di capire meglio, un’elementare regola di civiltà politica impone rispetto e attenzione”. Certo è che la scelta del coordinatore di Forza Italia, pur essendo nel solco di una lunga tradizione, è assolutamente inedita. Gli archivi sono pieni di scioperi della fame. Cristina Morelli, consigliera ligure dei Verdi, ne fece uno (sia pure mitigato dal consumo quotidiano di cappuccini e succhi di frutta) contro una deroga regionale alla caccia a storni e fringuelli. Il sindaco di Pagani (Salerno) Alberico Gambino e tre consiglieri comunali contro la condanna a sei punti di penalizzazione e la squalifica dello stadio ‟Marcello Torre” dove giocava la Paganese. Il piccolo imprenditore Luca Armani contro il Tribunale di Bergamo che lo aveva condannato a togliere dal sito Internet del suo timbrificio quel cognome (‟Ma se è il mio! Ce l’ho da quando sono nato!”) che poteva far pensare a Giorgio Armani. Alcune famiglie di Cervinara, provincia di Avellino, contro l’immobilismo delle autorità nell’opera di derattizzazione delle loro palazzine, immobilismo non scalfito neppure da un cortometraggio dal titolo ‟Balla coi topi”. L’aspirante deputata Wanda Montanelli smise un giorno di mangiare perché Di Pietro l’aveva tradita bocciando la sua candidatura. Clemente Mastella, esponendosi a un vistoso calo di due o tre etti, perché non gli davano (resta immortale il suo commento all’annuncio di averla avuta vinta: ‟Meno male, non ce la facevo più”) certi rimborsi elettorali. Ignazio Garsia, fondatore del Brass group palermitano, perché la politica culturale penalizza il jazz. Nando Orfei perché gli impedivano di usare al circo le tigri e gli elefanti. E perfino il Mago Zurlì annunciò un giorno la clamorosa protesta contro una procedura d’urgenza dell’Ispettorato comunicazioni che aveva bloccato il via alle trasmissioni di una emittente specializzata in cartoni e pupazzi, a partire da Topo Gigio: ‟Mamma! Che gruviera!”. Uno sciopero della fame per difendere un impero televisivo dall’assalto bolscevico però, se sarà confermata la motivazione, non lo aveva ancora fatto nessuno. E fa di Sandro Bondi, in un mondo di infedeli, un gigante della fedeltà assoluta. In un pianeta come la politica dove tutti sono pronti a tirare indietro la gamba, lui si espone fino in fondo accettando per amore di quello che rispettoso chiama ‟il Presidente” (‟P” maiuscola e flautata) ogni possibile supplizio. A partire dai dardi dell’ironia di chi gli ricorda come il digitale terrestre, oggi denunciato come un infame esilio imposto a Retequattro dai ‟banditi” rossi, era sventolato due anni fa da Maurizio Gasparri a riprova della bontà della sua riforma giacché ‟entro il 1° gennaio 2005” sarebbe stata raggiunta la copertura del 70% della popolazione: ‟Il digitale terrestre è una scelta strategica fatta da tutta l’Europa e va finanziata perché la popolazione dovrà rinunciare alla tv analogica”. Ma lui, da quando era comunista, è fatto così: si dà tutto. Anzi, sfida i sorrisetti altrui rivendicando la sua parte fino in fondo, quasi a farne un punto di forza. Ostenta la foto del Cavaliere sul comodino. Accetta senza un lamento per il bene del partito d’essere segato: ‟Come disse Natta mentre i colonnelli del Pci lo pugnalavano alle spalle: sono un felice frate elevato a priore”. Scrive poesie dal titolo ‟A Silvio”: ‟Vita assaporata Vita preceduta Vita inseguita Vita amata Vita vitale Vita ritrovata Vita splendente Vita disvelata Vita nova”. Si lascia rosolare da Claudio Sabelli Fioretti che gli chiede un difetto del suo amato: ‟Un difetto di Berlusconi... Un difetto di Berlusconi... Non so... Non riesco a trovarlo...”. Offre la testa al patibolo dopo la catastrofe (quattro milioni di voti in meno) alle Europee del 2004: ‟Forza Italia ha una piccola flessione. Forza Italia però, non Berlusconi. Io come coordinatore ne trarrò le conseguenze”. Si fa beccare da Sgarbi mentre, vedendo entrare il Sommo Silvio mentre lui è al microfono, dice: ‟Mi scusi Presidente se parlo in sua presenza”. Arrossisce se gli chiedono: ‟Tra Berlusconi e la famiglia a chi vuole più bene?”. ‟Spero di non dovere mai scegliere”. Sabina Negri, già moglie di Roberto Calderoli, una volta lo fotografò così: ‟Sono sicura che se rinascesse vorrebbe essere Veronica”. Ma lo farebbe, Veronica, uno sciopero della fame per Retequattro?

Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella è inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. Tra i suoi libri Schei, L’Orda, Negri, froci, giudei & co. e i romanzi Il Maestro magro, La bambina, …