Vittorio Zucconi: Chavez contro “el diablo”. Il Venezuela all’attacco di Bush

19 Ottobre 2006
Ha chiamato il suo nervoso ambasciatore ‟a un assalto con la baionette”. Ha riscosso cambiali e promesso favori e petrolio a nazioni africane, centramericane, arabe, asiatiche, ma ancora non ce l’ha fatta a sconfiggere ‟el Diablo” e a strappare un seggio al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Il nuovo Castro con il petrolio, Hugo Chavez, sta vivendo ore d’inferno mentre le 192 nazioni presenti all’Onu votano per scegliere il quinto membro temporaneo del Consiglio, dopo le facili vittorie di Italia, Belgio, Sudafrica e Indonesia, e nella lotta biblica tra i dollari del ‟Diablo Bush” e i petrodollari del diavoletto indio, il Venezuela non ce la farà, dicono i grandi cinici in completo blu del Palazzo di Vetro. Mentre il Venezuela e il Guatemala, il candidato civetta del diavolo yanqui, duellano fra di loro per i 128 voti necessari per la vittoria, dietro le porte chiuse si cerca il terzo candidato, il candidato di compromesso. Sono stati i soldi e il petrolio promessi a delegazioni di piccole nazioni sempre sensibili al danaro a disperdere ‟l’odore di zolfo” dell’‟imperialismo americano”, come lo ha definito lui. E se la votazioni ancora continuano, il ‟Hugo Chavez Travelling Circus”, il circo viaggiante del più stravagante leader vivente dell’America Latina, ha avuto nel Palazzo di Vetro il successo di pubblico che il suo vivace impresario sperava. Aveva forse un pochino esagerato nella retorica, anche davanti a una audience come l’assemblea dell’Onu dove il ‟Bush Bashing”, le bastonate a Bush, raccolgono sempre ampi consensi. Avere definito il Presidente americano come un ‟asshole” (che possiamo tradurre eufemisticamente come ‟uno stronzo”), un ‟borracho”, un beone, un ignorante, il nemico pubblico numero uno, un malato mentale e infine come l’Anticristo, non poteva essere la maniera migliore per conquistare le già scarse simpatie dell’Amministrazione Usa. Neppure Fidel, l’idolo di Chavez, era mai arrivato a dare dello stronzo a un Capo dello Stato Americano. Chavez si era vantato, prima di lasciare New York, di ‟avere in tasca” quei 128 voti, facendo capire che il petrolio a 60 dollari al barile, dove ora si trova dopo avere sforato anche i 70, aveva riempito le casse del governo di Caracas con abbastanza fondi, e strumenti di ricatto, per intascare la vittoria tra i latinoamericani e gli africani. Anche al Jazeera, la rete del Qatar che di queste cose ha una certa esperienza, spiegava che, dietro gli show e gli appelli alle baionette, sono i barili di petrolio a convincere quei 93 paesi che hanno votato per lui, ad appena 35 voti dal trionfo. Ma anche ‟el Diablo yanqui” ha le sue risorse e la sua collaudata capacità di persuasione. Senza che Bush personalmente rispondesse alle vivaci definizioni di Chavez (a quello ha pensato il padre, George Bush il Vecchio, chiamando il Presidente venezuelano ‟un asino” e un ‟buffone” dai microfoni della Cnn), il Dipartimento di Stato aveva lavorato per vie interne e discrete l’Oas, l’Organizzazione degli Stati Americani, l’Unione Europea, il Consiglio d’Europa, le nazioni asiatiche, spiegando che portare il Venezuela nel Consiglio di Sicurezza avrebbe significato la fine di quel che rimane della già modesta autorità di quell’istituzione. E avrebbe seriamente e personalmente indispettito il Diavolo. Né Hugo Chavez può sperare sui democratici, i nemici più aspri di questa Casa Bianca, che lui era riuscito a offendere come americani. Dopo un comizio in una chiesa di Harlem, il quartiere nero di Manhattan che i visitatori dal Terzo Mondo puntualmente ed erroneamente considerano una sorta di estensione della propria emarginazione, nel quale Chavez aveva chiamato ‟killer” il Presidente Bush, no, anzi, un ‟genocida demente”, il deputato di Harlem Charles Rangel, pur famoso per le sue intemerate anti-repubblicane, si era detto ‟personalmente offeso”. ‟Non posso ammettere che qualcuno venga in casa mia a insultare il Presidente della mia nazione. Il dissenso e il contrasto politico sono una cosa, le insolenze volgari, tutt’altra”. All’esorcista che voleva liberare il mondo da Bush rimarrà, se alla fine i dollari di George si rivelassero meno fetidi dei petrodollari di Hugo, la soddisfazione di avere comunque fatto ballare il Satana Texano, e di avere provato l’acre piacere della sceneggiata nella quale si esibì Nikita Kruscev, con la sua scarpa picchiata sul tavolo della delegazione Sovietica. Qualcuno, più scaramantico o forse più attento lettore della storia, avrebbe potuto far notare a Chavez che quegli show non portano buono e che dopo quella scarpata Kruscev sarebbe rimasto meno di quattro anni alla guida del proprio Paese, perché neppure i missili nucleari o i petrodollari permettono di tirare la coda al ‟Diablo” impunemente.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …