Stefano Rodotà: Perché Internet ha bisogno di una Carta dei diritti

14 Novembre 2006
Chi si interessa ai diritti nel mondo globale da ora in poi dovrà tenere d’occhio con un po’ più di attenzione quel che accade e accadrà intorno ad Internet. Detto così, può sembrare una banalità. Internet è il più grande spazio pubblico che l’umanità abbia conosciuto, cresce in maniera esponenziale, avvolge l’intero pianeta, ha già raggiunto i cento milioni di siti, ed è ovvio che sia un luogo dove si manifestano conflitti che incidono sui diritti individuali e collettivi. Ma due settimane fa ad Atene, nel corso di una conferenza organizzata dall’Onu e dedicata proprio al governo di Internet, sono state messe sul tavolo alcune carte che fanno pensare all’avvio di una fase almeno parzialmente nuova.
Le notizie più clamorose riguardano grandi potentati, come Microsoft e Google, che con i loro annunci hanno messo in evidenza come la questione dei diritti cominci a penetrare anche nei fortilizi muniti, e insensibili, delle grandi multinazionali. Uno dei maggiori dirigenti di Microsoft ha fatto sapere che, se il governo cinese continuerà nella sua opera censoria, nella persecuzione dei bloggers, la sua società potrebbe "riconsiderare" la sua presenza in quel paese. Una affermazione, questa, da valutare con molta prudenza, per l’importanza grandissima del mercato cinese e per gli investimenti già effettuati. E tuttavia questa mossa rivela due cose. Che la campagna degli attivisti per i diritti su Internet comincia a dare qualche frutto, scuote anche Microsoft, che di essa non può disinteressarsi pure per ragioni di immagine, rilevanti dallo stesso punto di vista del mercato. E che Microsoft intende negoziare, esercitando una pressione pubblica sul governo cinese, forte di un potere "politico" che manca ormai agli Stati nazionali.
Diversa, e sostanzialmente arrendevole, la posizione di Google. Vinton Cerf, uno dei padri fondatori di Internet ed oggi dirigente di spicco di quella società, ha detto chiaramente che le imposizioni di Pechino vengono accettate per non privare i cinesi delle opportunità che, comunque, Google è in grado di offrire loro. Ma anche questa posizione è assai significativa. Mette in evidenza che le libertà su Internet sono a rischio, che in assenza di un quadro di garanzie istituzionali le regole le produce solo la logica di mercato e che questa non esita a sacrificare i diritti dei cittadini.
La forza delle cose travolge così le resistenze di quanti continuano ad opporsi all’ipotesi stessa di una Carta dei diritti per Internet, temendo che in questo modo si impongano vincoli che la storia libertaria della Rete non vuole sopportare. Una posizione di retroguardia. Non fa i conti con una realtà che vede ogni giorno crescere le situazioni in cui i diritti in rete sono compressi, e non solo dagli Stati autoritari, ma da un Occidente che utilizza l’argomento della lotta al terrorismo per imporre lunghe conservazioni dei dati riguardanti ogni forma di comunicazione elettronica, consegna di informazioni delicate ad autorità di polizia, schedature delle persone. Ignora, poi, che le costituzioni, le carte e le dichiarazioni dei diritti sono sempre state l’opposto delle limitazioni delle libertà, rappresentando proprio lo strumento che ha consentito la garanzia e l’espansione dei diritti.
Ad Atene è stato possibile cogliere il segno di una maturazione, che ha fatto emergere in tutte le discussioni il tema della libertà in Rete ed ha dato ai sostenitori della necessità di una Carta dei diritti uno spazio ed una legittimazione che permettono di parlare dell’inizio di una fase nuova. Naturalmente, questo non vuol dire che il cammino da seguire sia quello che, in passato, ha portato all’approvazione di costituzioni e carte dei diritti.
Queste sono sempre state il frutto di iniziative dall’alto, si trattasse di costituzioni "octroyées", concesse dal sovrano, o approvate da assemblee costituenti. La natura stessa di Internet si oppone all’adozione di questo schema. Internet è il luogo della discussione diffusa, delle iniziative che vogliono e possono coinvolgere un numero larghissimo di persone, dell’elaborazione comune. Qui possono aver ragione i critici, se si pensa che alla Carta dei diritti si possa arrivare attraverso le procedure tradizionali delle convenzioni internazionali, con gli sherpa dei ministri degli esteri che producono una bozza da sottoporre poi all’approvazione all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
La Carta per Internet non può che essere il risultato di un processo, che ad Atene è appena cominciato. Lì si sono materializzate alcune "dinamic coalitions", gruppi interessati alla preparazione di un documento (non una bozza prefabbricata di Carta dei diritti) da mettere su Internet e sul quale aprire una discussione davvero globale. Non è una mossa velleitaria, perché questo processo potrà essere scandito e controllato grazie alle nuove riunioni annuali dell’Internet Governance Forum, già previste dall’Onu (la prossima nel novembre 2007 a Rio de Janeiro). E il Governo italiano ha fatto una mossa azzeccata, annunciando una riunione internazionale a Roma dedicata esclusivamente al tema della Carta dei diritti.
Sarà un processo lungo, e non facile. Ma, per avere risultati, non sarà necessario attenderne la conclusione. Sono possibili tappe intermedie, intese parziali, dichiarazioni per grandi regioni del mondo o per specifiche materie. Già oggi esistono esempi, e proposte. L’Unione europea è l’area dove più è strutturata la protezione dei dati personali, e dalla cui esperienza possono essere tratte indicazioni importanti per la stesura della Carta dei diritti (sì che appare opportuna e necessaria una iniziativa generale delle istituzioni europee, del Parlamento in primo luogo). Proprio la tutela della privacy può esser terreno propizio per sperimentare più rapidamente regole comuni, nello spirito della Dichiarazione di Venezia del 2000, ripresa l’anno scorso a Montreux nella conferenza mondiale delle autorità garanti. Sempre ad Atene, con una richiesta per certi versi più significativa delle parole sulla presenza in Cina, Microsoft ha chiesto una Carta delle Nazioni Unite per la tutela dell’identità digitale. E intanto si moltiplicano le iniziative per tutelare su Internet la libertà d’espressione, l’anonimato.
Ma è necessario andare oltre i tradizionali schemi delle convenzioni internazionali. Bisognerà integrarli con strumenti che consentano l’adesione di organizzazioni di cittadini e delle stesse imprese, utilizzando modelli già sperimentati, ad esempio, per garantire la circolazione internazionale delle informazioni. In questo modo sarà possibile stimolare più direttamente l’attenzione e la partecipazione di una molteplicità di attori sociali, rendendo concreta quella che viene chiamata una impostazione multistakeholders, con il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati.
Questa è la via che può portarci alla Carta dei diritti, Intanto, mimando la definizione di Internet come "rete delle reti", si può mettere a punto un "quadro dei quadri di principi già esistenti". Da qui può nascere una "mosaic law", un mosaico composto da diversi elementi normativi che progressivamente si compongono in un comune contesto istituzionale.
Mettere al centro la Carta dei diritti ha un altro, urgente obiettivo. Bisogna uscir fuori da una schizofrenia politica ed istituzionale che continua retoricamente a parlare della libertà su Internet, mentre questa viene concretamente limitata e violata. Solo una convinta e puntuale affermazione dei diritti in Rete può indicare quali sono i principi inviolabili in un sistema democratico, e salvaguardare davvero quella libertà.

Stefano Rodotà

Stefano Rodotà (1933-2017) è stato professore emerito di Diritto civile all’Università di Roma “La Sapienza”. Ha insegnato in molte università straniere ed è stato parlamentare in Italia e in Europa. …