Gian Antonio Stella: Così Bondi usò il corteo per schiaffeggiare Pierferdy

20 Novembre 2006
In piazza contro i bolscevichi! In piazza contro Casini! Lo scrive Sandro Bondi in un dispaccio che incita i parlamentari, i consiglieri e gli assessori regionali a dare l’anima perché la manifestazione a Roma del 2 dicembre sia trionfale: ‟Dovrà, con la sua imponenza, essere anche una ferma - e definitiva - risposta a chi nel centrodestra sta strumentalmente cercando di mettere in discussione la leadership del presidente Berlusconi, che è e resta l’unico insostituibile punto di riferimento per chi si oppone al ‟golpe di velluto rosso” che vuol trasformare l’Italia nel Paese dei Soviet e delle Coop”. Nella lettera, datata 13 novembre, il coordinatore nazionale forzista spiega che ‟è giunto il momento” di ‟dimostrare che la piazza non è più una "riserva di caccia" solo della sinistra e dei sindacati” e che il partito deve ‟convogliare in energia politica il diffuso malumore” contro la ‟legge finanziaria vendicativa e classista”. Per questo ‟è necessario lo strenuo impegno di tutti” perché la manifestazione a San Giovanni ‟si trasformi in un fatto epocale. Non possiamo permetterci di sbagliare”. Obiettivo: 200 mila persone: ‟La quota assegnata a Forza Italia è di 100.000 unità, il che significa che dobbiamo essere in grado di allestire almeno 2.000 pullman. Sono consapevole che si tratta di un enorme sforzo finanziario per il partito, visto che, purtroppo, le sedi periferiche non hanno fondi” poiché da due anni ‟non ricevono finanziamenti”. Quindi, per favore, fuori i soldi: 2.000 euro ciascuno ‟i parlamentari nazionali ed europei, senza alcuna eccezione” e ‟almeno mille i consiglieri ed assessori regionali”. Segue l’indicazione del conto corrente. Tutto normale. Nella logica della battaglia politica. Compresi la denuncia di una ‟emergenza democratica” e l’appello a dare l’‟avviso di sfratto a un governo pericoloso e illiberale”. Non fosse, appunto, per quell’esortazione a mostrare i muscoli non solo contro l’Italia ‟dei Soviet e delle Coop” (sic) ma anche contro chi a destra sta ‟strumentalmente” contestando la leadership del Cavaliere. E chi, se non il leader dell’Udc, che a quella protesta di piazza ha detto di non voler partecipare e che lo stesso Sandro Bondi accusò un anno fa in un’intervista a ‟Libero” dicendo ‟Casini ci vuole far perdere”? Che Silvio non straveda per ‟Pierferdy” è cosa nota. Certo, nell’estate del ‘94 arrivò a proporgli di prendere in mano Forza Italia mentre lui si occupava di governare. Ma in realtà non ha mai capito del tutto con quel giovanottone dalla storia così diversa dalla sua. Questione di pelle. Resta immortale, ai tempi in cui Michele Serra lo compativa giacché offriva ‟il suo desco a tutti gli alleati” mentre ‟quelli appena usciti da casa sua satolli come colombe ripiene, ancora con lo stuzzicadenti in bocca” cercavano ‟giornalisti amici ai quali parlar male del padrone di casa”, lo sfogo sui dissensi sulle alleanze: ‟Chi dice che tra la componente cattolica del Polo e Pannella ci siano state divergenze sui valori cattolici mente spudoratamente. Al tavolo delle trattative non ho mai sentito parlare né di valori cattolici, né di principi”. Tesi velenosamente ribadita qualche anno dopo: ‟Noi parliamo di storia, lui tratta sui collegi”. ‟Stima” ricambiata. Basti rileggere ciò che Casini ha detto negli anni. A cominciare dall’estate del ‘95 quando il Cavaliere, dopo il ribaltone, pareva alle corde: ‟Forza Italia è un’entità vaporosa”. Di più: ‟Senza Berlusconi il Polo non esiste, solo con lui il Polo perde”. Di più ancora: ‟A correre con lui per Palazzo Chigi ci andremmo a impiccare in una polemica sul conflitto d’interessi”. Giudizi netti. E incassati di malumore dall’amico Silvio che ogni tanto malediva i ‟faniguttùn”, sfaccendati che ‟non hanno mai lavorato in vita loro”. Mai lo scontro è stato duro, però, come nell’ultimo anno. A partire dal giorno in cui l’allora presidente della Camera, anticipando un tormentone estivo all’insegna della ‟discontinuità”, disse al Corriere: ‟Nella Cdl o si cambia o si perde”. Tesi rafforzata dalla denuncia di fosche previsioni elettorali. Finché il Cavaliere sbottò: ‟La Cdl ha un candidato che è Silvio Berlusconi, non c’è nessuna discussione al riguardo, punto e basta. Chi ha idee diverse è libero di andare dove vuole”. E ancora: ‟In una squadra di calcio se uno dei calciatori dovesse dire prima di una partita "andiamo a perdere" l’allenatore lo toglierebbe di squadra”. Stilettate cui Casini rispose con una sciabolata affilatissima: ‟Non possiamo dire agli italiani quello che vogliono sentirsi dire, che noi abbiamo la ricetta magica. Gli italiani sono stanchi degli illusionisti”. E via così, per mesi e mesi. Prima e dopo le elezioni. Soprattutto dopo. Dissensi. Frecciate. Smarcamenti. Sul tipo di opposizione da fare. Sull’opportunità di manifestare a Vicenza contro le tasse. Sull’idea casiniana di un ‟approccio nuovo per evitare di presentarsi come un’Armata Brancaleone, sempre in bilico tra desiderio di dialogo e voglia di piazza”. Ma soprattutto sulla candidatura di Napolitano. E la bocciatura del controcandidato Gianni Letta, che fece sibilare a Berlusconi: ‟Ci sono venuti a mancare 60 voti: 60 traditori, tutti con nome e cognome, tutti parlamentari dell’Udc di Pier Ferdinando Casini”. Il quale poche settimane dopo non solo ribadiva la sua stima per Napolitano, l’idea dell’esaurimento della Cdl e il fastidio per i fischi leghisti all’Inno di Mameli ma sbuffava: ‟Non voglio morire berlusconiano”. Raccontano che un giorno, prima di una riunione, il Cavaliere piazzò sulla sedia di Casini uno dei suoi cactus più spinosi. Scherzava, allora. Evidentemente ha deciso, adesso, di fare sul serio. E intonare la canzone delle Stradelle: ‟E qui comando io/e questa è casa mia...”.

Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella è inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. Tra i suoi libri Schei, L’Orda, Negri, froci, giudei & co. e i romanzi Il Maestro magro, La bambina, …