Giorgio Bocca: Mussolini e Saddam. Due giustizie diverse

03 Gennaio 2007
‟Tacete voi che avete ucciso Mussolini dopo un processo di un’ora”, ha detto il governo iracheno all’Italia. Ma non è andata esattamente così. Mussolini è stato condannato dalla maggioranza del popolo italiano negli anni delle guerre inutili e sanguinose e soprattutto nei venti mesi della occupazione nazista e della collaborazione di Salò con Hitler. E se proprio si vuole una giustificazione legalistica Mussolini è stato giustiziato su ordine del Clnai, il comitato di liberazione nazionale che governava nell’Italia occupata. L’ordine era di passare per le armi chi nel giorno della insurrezione generale si fosse opposto con le armi in pugno. E Mussolini fu catturato a Dongo mentre tentava di fuggire in Valtellina e da lì nella Germania ancora nazista.
Della sua esecuzione sono state date centinaia di versioni. Noi crediamo, per quel che possa valere, che la più aderente al vero sia quella raccontata in una nostra storia della Repubblica di Salò. L’abbiamo appresa da Fermo Solari che quel 25 aprile era a Milano al comando partigiano del nord Italia.
‟Telefonarono da Musso, un paese del lago di Como – mi raccontò Solari – e ci dissero che avevano catturato Mussolini. Luigi Longo uscì nel corridoio per trovare qualcuno da mandare sul posto. Tornò e mi disse: ho trovato solo Audisio”. Non era proprio così: aveva trovato anche Lampredi uomo di partito e mandò anche lui con l’ordine di fucilarlo sul posto. ‟A me – disse Solari – ha detto: gli ho ordinato di portarlo a Milano”. Lampredi e Audisio lo fucilarono, noi lo sapemmo a cose fatte e approvammo pienamente.
Ma la fucilazione di Mussolini e dei gerarchi a Dongo è politicamente assimilabile alla impiccagione di Saddam Hussein solo nelle linee generali. La fine di una tirannia non poteva allora essere che una giustizia sommaria del vincitore. Sotto questo aspetto quella di Mussolini è stato un fatto inevitabile, la scomparsa di un uomo perché la storia continui, un epilogo violento e drammatico perché da una tirannia possa nascere un paese libero. Ciò che persuade di meno della esecuzione del tiranno Saddam è che il tiranno era già caduto e vinto: nessuno, neppure i seguaci e consiglieri di Bush, può seriamente pensare che la democrazia sia esportabile con le armi e che i sudditi di Saddam, o almeno una importante minoranza, siano davvero convinti delle colpe del loro leader tanto è vero che a cadavere ancora caldo i sunniti lo piangono e si ripromettono di vendicarlo. Sicché la esecuzione barbara di Saddam più che l’inizio di una liberazione ha l’aria della convulsione di un terrore perdurante, di una ferocia che si ripete. E in questo senso si può considerarla un errore.
La condanna di Saddam è la condanna di un satrapo ma ha anche degli aspetti ignobili, inaccettabili. Il dittatore oggi ucciso ha goduto a lungo di una larga complicità internazionale proprio mentre commetteva quei reati per i quali ora è stato giustiziato. Complicità maldestramente rinnegate come quelle del presidente Bush che dormiva e di suo padre che giocava a golf perché oggi quel satrapo non serve più negli affari sporchi dei paesi del petrolio. Hanno un bell’affannarsi i grandi cinici di casa a ricordarci che così vanno le cose di questo mondo e che non saranno le anime belle a cambiarle ma l’errore della esecuzione di Saddam resta, come segno che i potenti della terra anche in questo orrendo episodio hanno scelto il gioco degli sporchi interessi, delle vendette senza fine, hanno confermato la umana vocazione al gioco sporco, al gioco furbo, al vinca il peggiore.
L’errore della esecuzione di Saddam con quella terribile esposizione di cappi, botole, boia mascherati, insulti sono stati un errore profondissimo, di quelli che fanno disperare degli uomini e del loro destino.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …