Giorgio Bocca: Cartoline da Islamabad

23 Marzo 2007
Dr le de guerre, quella afgana: non si sa a cosa serve e neppure come sia possibile combatterla e men che mai come potrà finire e però su di essa possono cadere governi, leader politici.
Prendiamo il nostro contingente che, secondo la curiosa pretesa del nostro governo, sarebbe in guerra per servire la pace. Non si sa perché sia stato diviso in due: un migliaio di uomini nella capitale di Kabul e un migliaio a Herat al confine con l'Iran. Il collegamento fra i nostri reparti è rischioso, avviene su una strada polverosa, la Pashtun road, dove non c'è riparo alle imboscate.
L'ultima ha costretto un nostro convoglio a uscirne e a tagliare per i campi. Il fatto che ce la siamo cavata a buon mercato con una perdita di due camionette non è chiaro: se dovuto alla resistenza dei nostri soldati o alla benevolenza degli attaccanti che dipendono da Sayed Hussein, il signore locale che sta in uno splendido palazzo e che non nasconde di essere un alleato di Teheran, cioè dell'Iran degli ayatollah, nemici giurati della Nato. Dunque anche del nostro corpo di spedizione.
Il satrapo ha già fatto chiaramente sapere al nostro comando che l'Iran è in pratica il vero padrone di Herat e che bisogna obbedire ai suoi desideri; per esempio, non disturbare la coltivazione dei papaveri da oppio e il commercio degli stupefacenti. Meglio poi rispettare la etnia degli Anwari che non sopportano gli stranieri, ma convivono con il satrapo.
Le condizioni poste da Sayed Hussein al nostro contingente per consentirgli di sopravvivere sono praticamente il rovesciamento della alleanza Nato che è nemica dell'Iran e contraria al commercio di stupefacenti. Ma non è l'unica contraddizione della incerta alleanza.
La stampa occidentale ha passato sotto silenzio un fatto gravissimo accaduto nella provincia di Kandahar: un reparto americano circondato dai talebani ha chiesto aiuto a un reparto tedesco schierato nelle vicinanze. Il comandante tedesco ha chiesto il tempo per avvisare Berlino, ma Berlino ha proibito l'intervento perché anche i tedeschi come noi partecipavano alla guerra afgana, ma per rafforzare la pace. Nello stesso ambiguo intento viene ricevuto con tutti gli onori alla Casa Bianca il generale pakistano Pervez Musharraf, presidente della Repubblica islamica del Pakistan e fedele alleato dell'Occidente, ma che ospita nel suo paese Osama Bin Laden e i campi dove i talebani si addestrano per poi passare in Afghanistan alla prossima offensiva di primavera.
È una assurdità? No è una realtà. Nel Pakistan ci sono migliaia di madrasse, le scuole islamiche dove si predica la guerra santa, e anche il generale deve vivere a Islamabad in un palazzo blindato. Perché le alleanze con le grandi potenze sono una cosa, ma il Waziristan un'altra: centinaia di migliaia di chilometri quadrati di montagne incontrollabili.
Su ‟l'Unità”, giornale semicomunista italiano, è uscito un invito ai sostenitori della guerra santa, fra cui i nostri trotskisti, per cui anche la lotta ai terroristi islamici va bandita. Ma basterebbe vedere come i talebani trattano le donne, con violenza e isolamento.
La verità nuda e cruda è che questo mondo vive un periodo di caos generale, dove le parole, le idee non sono più ancorate alla realtà, alla ragione. Dove chiamiamo democrazia metà delle province italiane in cui i partiti esistono solo di nome e di simboli, ma gli elettori passano allegramente e anche turpemente dall'uno all'altro, alla ricerca di raccomandazioni, di posti, di sovvenzioni.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …