Umberto Galimberti: Milano. Perché la città rischia l’implosione

16 Aprile 2007
Che cosa sta accadendo a Milano? Prima l’incendio delle tende degli zingari a Opera, poi le ronde della Lega e di An nei campi Rom. Di seguito le scritte contro i gay definiti ‟froci, bastardi” e il danneggiamento della loro libreria ‟Babele”. Non di diverso tono le scritte contro gli islamici in viale Jenner. Poi l’incendio del centro sociale di destra ‟Cuore nero”, a difesa del quale oggi ci sarà un presidio a sua volta ‟presidiato” a poca distanza dai centri sociali di sinistra. Infine la rivolta cinese di via Paolo Sarpi. Che sta accadendo a Milano? Due cose, a mio parere, che contaminandosi possono determinare l’implosione della città. La prima è che siamo solo all’inizio di quel processo irreversibile che, per effetto della globalizzazione, traduce le grandi città in agglomerati di sconosciuti, senza più quel tessuto sociale che creava un rapporto fiduciario tra gli abitanti del territorio i quali, se anche non si conoscevano, sapevano di sottostare a quella legge non scritta che era l’uso e il costume degli abitanti di quella città. Alla globalizzazione non eravamo preparati. L’abbiamo pensata solo come libera circolazione delle merci, senza neppure sospettare che avrebbe comportato anche la libera circolazione degli uomini. La seconda causa che minaccia l’implosione è dovuta al fatto che non ci sono più idee. Non ci sono più valori. Non se ne producono più. La passività e l’inerzia sembrano caratterizzare l’atmosfera della nostra città, dove l’impressione è che nessuno abbia una storia da scrivere né passata né futura, ma solo energia da liberare in una sorta di spontaneità selvaggia, dove non circola alcun senso.
Viene allora da chiedersi come mai dopo tante rivoluzioni e un secolo o due di apprendistato politico, nonostante i giornali, i sindacati, i partiti, gli intellettuali e tutte le energie preposte a sensibilizzare gli uomini alla loro storia, non si trovano cento persone capaci di ripensare la situazione della città e seguirne il cambiamento, mentre centinaia di migliaia rimangono passive e preferiscono senza esitazione un incontro di calcio a un dramma umano o sociale. Come smuovere questa inerzia, questa passività? Senza una risposta a questa domanda, senza una curiosità ideativa, senza una partecipazione anche minima al mondo delle idee e dei valori, la società diventa ‟massa” che, come un buco nero, risucchia energia sociale e non la rifrange più. La massa, infatti, assorbe tutte le idee e non ne elabora alcuna, assorbe tutti i valori e semplicemente li digerisce. Dà a tutti gli interrogativi che le sono posti una risposta tautologica, che è poi quella appresa dallo schermo televisivo. Non essendo sua, questa risposta non coinvolge la sua partecipazione, ma in un certo senso, potremmo dire: ‟fa massa”, e dove si fa massa tutta l’energia sociale implode, e nella sua implosione produce il gesto violento. Mi si dirà che niente è più avulso dalle masse dei gesti violenti. Non è vero. Guardati da vicino, le masse implosive e la violenza esplosiva hanno in comune la negazione del sociale e il rifiuto del senso. La violenza, infatti, non mira a far parlare, a suscitare o a mobilitare idee e valori, non ha continuità rivoluzionaria. Il suo obiettivo è il silenzio del sociale magnetizzato dall’informazione. Per questo la violenza agisce con atti votati immediatamente alle onde concentriche dei media, dove ciò che si produce non è una riflessione, una ricerca logica delle cause e degli effetti, ma solo fascinazione e panico in una reazione a catena per contagio. La violenza, infatti, è vuota di senso e indeterminata come il sistema che combatte, o in cui piuttosto si installa come un punto di implosione non storico, non politico, omologo in profondità al silenzio e all’inerzia della massa che terrorizza. Per sottrarci a questa condizione dobbiamo tutti, ma proprio tutti, cominciare a ripensare la nostra città e a ravvivare idee e valori, invece di lasciarli languire come se altro non fossero che un obsoleto reperto della nostra storia trascorsa.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …