Umberto Galimberti: Baby-gang. Ma i loro errori sono anche i nostri

26 Giugno 2007
A Parigi sono diffuse. A Milano cominciano a fare la loro comparsa le baby-gang composte da ragazzini dai 14 ai 16 anni che in dieci o dodici assaltano chiunque abbia qualcosa da farsi rubare: un cellulare, una catenina, un orologio. Il furto non è sempre lo scopo dei loro assalti. Talvolta puntano solo a marcare il territorio o a cacciar via chiunque entri negli spazi che loro hanno stabilito essere della propria banda. La gran parte sono figli di terza generazione di immigrati di tutte le nazionalità che, a differenza di quelli più adulti di loro, non si associano per gruppi etnici, ma per età. Non mancano anche i ragazzi nostrani di periferia. Le baby-band rispondono al bisogno di dire ‟noi”, di sentirsi gruppo e di farsi riconoscere dai componenti il gruppo, ottenendo dal riconoscimento una conferma della loro identità di duri e forti. Ciò significa che nella loro biografia sono fallite tutte le occasioni per reperire un’‟identità” che non emergesse dal gesto di violenza e un'‟appartenenza” che fosse più gratificante di quella rimediata nella banda. A questo punto potremmo leggere le baby-band come un sintomo del fallimento dei gruppi familiari di appartenenza, dove i genitori, probabilmente, sono quotidianamente impegnati nei lavori più umili che noi solitamente affidiamo agli immigrati, a cui si aggiunge il fallimento della scuola che questi ragazzi pure frequentano, non si sa quanto seguiti o trascurati dai loro professori. Non riesco a colpevolizzare questi ragazzini alla ricerca di quello che ogni adolescente che sta sbocciando alla giovinezza va cercando, quando la famiglia non desta più alcun richiamo, la scuola non li ha coinvolti in alcun interesse, la droga incomincia a passare loro accanto come segno di emancipazione. Vogliono quello a cui tutti i loro coetanei aspirano. Vogliono identità e riconoscimento. E non trovando spazi idonei e favorevoli al conseguimento di queste naturali aspirazioni, non resta loro che la strada per inventarsele. Quando è giovanile la delinquenza ci incolpa. Incolpa la nostra incuria collettiva nei processi educativi, quasi ancora non avessimo imparato che l’ordine e la buona creanza non sono dati scontati in nessuna cultura, ma condizioni da costruire giorno per giorno seguendo i ragazzi in ogni passo dei loro processi evolutivi.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …

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